domenica 2 agosto 2020

Bologna non dimentica, noi non dimentichiamo

A Bologna l’orologio segna le 10:15. 
Un uomo entra nella sala d’attesa della stazione con una grossa valigia. L’appoggia e se ne va. 
Alle 10:25 quella che un istante prima era una stazione è un campo di battaglia. 
23 i kg di esplosivo contenuti in quella valigia. Il boato si è sentito in tutta la città e da ogni angolo di Bologna si può vedere il fungo nero che avvolge per intero l’area, come un mantello.
Per due minuti c’è solo silenzio. Quando la polvere cala su quel che rimane della stazione, è evidente l’orrore: 85 i morti e oltre 200 i feriti. 
La strage di Bologna è l’atto terroristico più grave della nostra Repubblica, uno degli ultimi gravissimi atti della strategia della tensione degli anni di Piombo. Anni in cui l’estrema destra aveva l’obiettivo di provocare lo stato di emergenza e far sentire tutti in pericolo, per minare la democrazia e instaurare un regime autoritario. 
A 40 anni di distanza c’è una verità giudiziaria, la condanna degli esecutori e la chiara ed evidente matrice neofascista dei terroristi. 
I mandanti della strage, però, non sono mai stati individuati. 
Ed è una verità che va cercata e conquistata. Ancora oggi. 
Lo si deve alle vittime, ai loro famigliari, e a chi crede profondamente nella nostra Democrazia antifascista.

"Dalle pagina facebook del Partito Democratico."

Un abbraccio commosso 
La Redazione 

sabato 1 agosto 2020

RECOVERY FUND: SOLO UNA DISPONIBILITÀ DI FONDI O UN CAMBIO DI APPROCCIO?

Europa - Recovery Fund
                                                
Abbiamo girato la domanda al prof. Paolo Sospiro, Direttore EUABOUT BRUXELLES, ricercatore e docente di Economia delle imprese presso l’ Università di Firenze e l’Università Politecnica delle Marche.

“Il percorso europeo è sempre stato a strappi e, spesso, le accelerazioni sono avvenute a causa di imprevisti o di crisi interne o esterne, come nel caso della Brexit. Così come nel caso dell’accelerazione della moneta unica, della quale si è inizia a parlare e ragionare sin dal 1969, ma che poi avviene solo nel 1989 sospinta da rinnovata idea europeista derivante della caduta del muro di Berlino.

Così come nel 1969 l’esigenza di una moneta europea era nata dalla evidenza della crisi del dollaro a causa delle guerre in Corea e in Vietnam. Infatti, all’epoca, non dimentichiamo che tutte le monete erano ancorate al dollaro ed il dollaro era ancorato all’oro. Quindi tutti i paesi erano consapevoli che comprando dollari, potevano ricevere oro dagli Stati Uniti. Ma questo non era sostenibile con gli Stati Uniti che continuavano a stampare moneta per finanziare le guerre in Corea e in Vietnam. Tuttavia l’Europa a 6 dell’epoca non era stata in grado di andare oltre il cosiddetto Serpente Monetario Europeo. A Seguire negli anni ottanta l’ECU. Ma solo la forte volontà della Germania al momento della sua  riunificazione ha fatto sì che si giungesse al Trattato di Maastricht ed alla moneta unica e quindi all’euro.

Attualmente l’assoluta inaffidabilità di Trump e l’uscita del Regno Unito stanno portando alla difesa europea. Al momento si tratta solo di ricerca e sviluppo e acquisti comuni.

Così come le diverse crisi che si stanno susseguendo (l’attacco alle torri gemelle del 2001, la crisi economica del 2008, la crisi migratoria del 2015 ed infine il COVID-19) stanno costringendo i paesi membri, sempre più, a pensare ed agire in un’ottica comune in quanto le sfide davanti a loro sono troppo importanti per poterle affrontare da soli. Compresa la Germania che ne è ancora più consapevole.

Credo che quello del Recovery Found  sia un ulteriore passo avanti verso un maggiore coordinamento, da una parte, e una maggiore cessione di sovranità, dall’altra, da parte dei paesi membri.

Se tutto questo possa significare che presto ci saranno gli Stati Uniti d’Europa o un maggiore sistema Intergovernativo, credo che nessuno lo sappia perché i cittadini europei non sono ancora pronti a prendere decisioni di questa portata.

Un fatto è certo, nonostante la scarsa fiducia che emerge di giorno in giorno tra i paesi, e specie in alcuni paesi, gli stati membri trovano sempre una soluzione per stare insieme e superare le crisi che si trovano davanti.

Quello che possiamo dire è che il percorso europeo non è altro che superare le crisi insieme per evitare che il rischio di una guerra (commerciale, diplomatica o militare) sia sempre superato. Garantendo, allo stesso tempo, uno standard di vita sempre più elevato ai cittadini europei. Questo approccio e questi due obiettivi permettono di coniugare passato, presente e futuro e di coniugare gli interessi delle generazioni “passate” degli adulti di oggi e dei giovani di oggi e delle future generazioni.

A conti fatti, pensando solo agli ultimi 20 anni, nei quali nel mondo è accaduto di tutto, quello che possiamo sostenere è che il progetto europeo, per quanto criticale, lento, incompleto e sempre in ritardo abbia comunque garantito sempre una certa sicurezza e benessere nonostante, appunto, il mondo sia diventato un posto complicato. Basti pensare all’ascesa economica e politica della Cina, all’avvento dell’India, ai problemi degli Stati Uniti, alla Brexit, al fenomeno migratorio e tanto altro. Insomma, il processo europeo, credo che permetta ai paesi europei di avere una sorta di cuscino che attutisce e ritarda gli effetti degli avvenimenti che avvengono nel mondo. Oggi è fondamentale, quanto meno fino a quando il mondo non troverà un nuovo equilibrio."

 

Prof. Paolo Sospiro

giovedì 30 luglio 2020

1848-1948 “Dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica Italiana”

Parte 1

Un secolo, cent’anni esatti, un tempo breve nel respiro del Mondo, lungo e articolato dalla prospettiva della storia dell’umanità e ancor più di quella italiana.

Nel fatidico anno 1848, l’anno delle rivoluzioni e della primavera dei popoli europei, re Carlo Alberto di Savoia, sovrano del Regno di Sardegna, primo tra i governanti di un’Italia ancora frammentata in molte unità territoriali, alcune delle quali sottoposte all’ingerenza di potenze straniere, emanava una propria Costituzione: lo Statuto Albertino.

1° gennaio 1948: in Italia entrava in vigore la nuova Costituzione di uno stato che, dopo la nera parentesi del regime fascista e la tragedia del secondo conflitto mondiale terminato meno di tre anni prima, sceglieva di mutare struttura ed organizzazione, passando dalla monarchia parlamentare ad un sistema repubblicano a seguito del referendum del 2 giugno 1946.

Questi due momenti sono fondamentali per la storia del nostro Paese. Lo Statuto Albertino, con tutte le sue limitazioni, è stato propedeutico allo sviluppo del periodo risorgimentale e all’unità d’Italia, anche se poi, nel ‘900, non rappresenterà un argine contro l’affermazione ideologica e politica del Fascismo, mentre la Costituzione del 1948 è la concretizzazione della lotta antifascista, dell’anelito alle libertà e ai diritti civili di uno Stato che finalmente diventò davvero democratico dopo gli anni drammatici della dittatura e della guerra.

Caratteristiche dello Statuto Albertino

La Costituzione Albertina era:

1) Ottriata (dal francese “octualier”), cioè concessa dall’alto dal sovrano; pur nascendo in un contesto di profondo fermento sociale per le rivendicazioni civili e patriottiche di una larga parte della popolazione, era il sovrano a offrirla ai propri sudditi. 

2)Flessibile: gli articoli dello Statuto potevano essere modificati tramite leggi ordinarie del Parlamento, quindi attraverso iter legislativi e burocratici relativamente snelli e agevoli. Questo aspetto, se per un verso ha portato all’introduzione di emendamenti in itinere, dall’altro ha permesso che lo Statuto stesso venisse in qualche modo aggirato, se non disatteso in molti punti, con l’avvento del regime dittatoriale di Mussolini e le leggi fascistissime. 

3) Corta, cioè prevede un numero contenuto di articoli e soprattutto pochi diritti.

Per quanto concerne la struttura dello Stato, secondo i dettami dello Statuto Albertino quella sabauda si presentava come una monarchia costituzionale pura: il sovrano, infatti, esercitava allo stesso tempo la funzione di Capo dello Stato e di Capo del Governo, partecipando, quindi, al potere esecutivo, legislativo. Il re aveva anche il diritto di concedere la grazia ai detenuti e nominava i magistrati. Come si evince da ciò, ancora non si può parlare di separazione dei poteri.

Il sistema parlamentare era bicamerale, cioè composto da due camere:

1)Camera dei Deputati, organismo elettivo: i rappresentanti venivano eletti tramite suffragio ristretto. Il diritto di voto era prerogativa di una piccola parte della società del Regno di Sardegna. Soltanto i nobili e i cittadini benestanti percettori di redditi elevati potevano votare. Le donne erano escluse e sarebbero state ammesse a questo fondamentale diritto di cittadinanza soltanto in occasione del referendum del 1946.

2) Regio Senato: era composto da senatori nominati direttamente dal re e la carica era a vita.

Il 1848, come si accennava sopra, fu un anno fondamentale per la storia europea e italiana.

L’emanazione dello Statuto Albertino, in qualche modo, rappresentò il preludio a quella fase del processo risorgimentale che portò all’unità d’Italia.

Tra il 1848 e il 1849 si svolse quella che gli storici chiamano Prima Guerra di Indipendenza. Mentre in molti Paesi d’Europa si stavano verificando sollevazioni popolari, per la verità espressione delle rivendicazioni politiche e sociali della borghesia, re Carlo Alberto ruppe gli indugi e dichiarò guerra all’Impero Asburgico, che controllava il territorio del Lombardo-Veneto.

Il conflitto, nonostante la partecipazione di patrioti di tutta la penisola, non ultimo Giuseppe Garibaldi, non si risolse a favore del Regno di Sardegna e Carlo Alberto, dopo la decisiva sconfitta nella battaglia di Novara, assumendosi la responsabilità del fallimento, abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Il Piemonte restò comunque l’unico Stato della penisola libero da ingerenze straniere e con un ordinamento relativamente liberale. Già l’indirizzo del governo guidato da Massimo D’Azeglio, che peraltro introdusse nuove leggi a limitare i privilegi di clero e aristocrazia, evidenziò come il regno sabaudo fosse avviato ad una stagione di riforme e cambiamenti che vennero poi promossi dall’esecutivo presieduto da Camillo Benso conte di Cavour, politico di estrazione appunto liberale, che si pose l’obiettivo di rendere il regno sabaudo uno Stato moderno e, negli ovvi limiti, di respiro internazionale.

Dopo aver attuato delle riforme interne, tese soprattutto a potenziare le infrastrutture del Paese e a renderne l’economia più competitiva, in politica estera, con la partecipazione alla Guerra di Crimea al fianco di Inghilterra e Francia, Cavour si ritagliò uno spazio nel panorama europeo, dando visibilità internazionale alla questione dell’unità di Italia.

Di lì a poco la Seconda Guerra di Indipendenza, 1859-1861, portò alla formazione del primo nucleo dell’Italia unita.

Dopo la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, 17 marzo 1861, la valenza dello Statuto Albertino fu estesa a tutto il Paese, tuttavia il cammino di armonizzazione delle differenze culturali, sociali e antropologiche della penisola non fu privo di difficoltà, poiché le problematiche da affrontare erano molteplici, dall’analfabetismo alle tante varianti dialettali della penisola, passando per il divario economico tra Nord e Sud.

Nel primo Parlamento del Regno d’Italia si formarono due schieramenti politici principali, la Destra storica, erede del pensiero di Cavour, che governerà il Paese dal 1861 fino al 1876, e la Sinistra storica, i cui rappresentanti si riconoscevano negli ideali progressisti, democratici e mazziniani.

La Destra storica, attraverso l’introduzione di nuove imposte, soprattutto indirette, che gravarono particolarmente sulle fasce più deboli della popolazione, raggiunse il pareggio di bilancio, ma non riuscì a soddisfare la richiesta di riforme sociali, in quanto tale esecutivo era soprattutto espressione della borghesia più agiata e in questo contesto il diritto di voto, su base censitaria, era ancora limitato ad una esigua percentuale di cittadini.

Ad ogni modo, la natura flessibile dello Statuto permise l’introduzione di variazioni al sistema politico, sociale e civile italiano attraverso leggi ordinarie, senza quindi la necessità di dover riscrivere gli articoli dello Statuto medesimo. Non solo, lo stesso ruolo del sovrano nel tempo andò progressivamente virando verso una funzione di natura più istituzionale e rappresentativa che non fattiva. In sostanza, possiamo parlare di evoluzione parlamentare e di crescita di importanza del ruolo esecutivo del Governo.

Per quanto concerne l’evoluzione dello Stato, nonostante gli esecutivi liberali si fossero già posti il problema dell’istruzione, tanto che una prima riforma in tal senso era stata varata nel 1859 (Legge Casati), è con il governo della Sinistra storica che assistiamo a interventi più incisivi in campo sociale, in primis nella lotta contro l’analfabetismo. Nel 1877, infatti, venne approvata la Legge Coppino che rendeva obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare, mentre qualche anno più tardi, nel 1882, il diritto di voto, seppur ancora vincolato al censo, venne esteso ad un numero maggiore di cittadini, dal cui novero, tuttavia, risultavano ancora esclusi analfabeti, nullatenenti e le donne. Questo processo di allargamento della platea degli aventi diritto di voto trovò una più fattiva concretizzazione nel 1912, quando con l’esecutivo Giolitti si stabilì la concessione del suffragio universale maschile senza vincoli di censo né di istruzione.

Negli ultimi anni dell’800, culminati con l’attentato a re Umberto I, a fronte di un forte malcontento popolare, cui contribuì anche l’andamento della politica colonialista in Africa, e delle manifestazioni della classe operaia, gli esecutivi che si susseguirono attuarono, ove più ove meno, una politica spesso repressiva; in ogni caso, pur in un quadro socio-politico agitato e taluni frangenti drammatico, in questo periodo il cammino verso l’allargamento dei diritti civili iniziato con l’emanazione dello Statuto Albertino continuò, come testimoniano la concessione del diritto di sciopero e l’abolizione della pena di morte (Codice Zanardelli) che sarà successivamente ripristinata con l’avvento del regime fascista che, pur mantenendo formalmente lo Statuto medesimo, andrà limitando e soffocando le libertà dei cittadini italiani.

Come poi vedremo, le conseguenze della Grande Guerra, a cui l’Italia partecipò a partire dal 1915, avranno un ruolo determinante nella preparazione di un terreno fertile per l’avvento del Fascismo.

E la storia continua.... 

La Redazione


lunedì 27 luglio 2020

Settembre, priorità la scuola, quali incognite?


Istruzione e Cultura rappresentano la spina dorsale di un Paese, il grado stesso di Civiltà e di Crescita di una società potremmo misurarlo alla pari con il suo livello di istruzione e di scolarizzazione. Il ruolo dell’istruzione e della cultura per lo sviluppo di un Paese deve rappresentare di conseguenza l'indice fondamentale di sviluppo del Paese stesso.
Non sempre la politica è stata in grado di cogliere fino in fondo questa cruciale necessità, spesso distratta da altri temi, o dalla semplice rincorsa al piatto del giorno (tema di consenso puramente gastrico) piuttosto che alla pianificazione del futuro. L'idea malsana che pensare al futuro possa rappresentare un esercizio per poveri illusi e visionari e che, di per se, portare meno consensi ci consegna un immagine chiara di come una diffusa "idea della politica" vada integralmente rivista e condannata. La politica vera, quella buona, riformista, intesa nella sua accezione più alta è capacità di visione, di coltivare nel presente per preparare il futuro o più semplicemente renderlo possibile. 
Un Paese impoverito sul piano dell’istruzione è automaticamente impoverito sul piano sociale perché, ad esempio, è più facilmente vittima di disinformazione, pulsioni retrograde, ondate di razzismo e di sentimenti di odio gratuito. Ma è più povero anche sul piano strettamente economico.
Proprio per queste ragioni ci sentiamo di unirci all'appello di Emanuele Lodolini, candidato alle prossime elezioni Regionali delle Marche nella lista Maurizio Mangialardi Presidente: "Le scuole sono la priorità, ma continuo a chiedere che le lezioni non vengano sospese la settimana successiva alla riapertura per consentire l'allestimento dei seggi per elezioni regionali e per il referendum sulla riduzione dei parlamentari".."Assicuriamo la ripartenza garantendo sicurezza e controllo per bambini e personale scolastico."

L'esperienza di questi mesi con l'apprendimento a distanza (da migliorare e rafforzare per eventuali future esigenze, che ovviamente scongiuriamo) ci ha chiaramente indicato, in special modo per alcune fasce di eta, quanto bisogno ci sia del ritorno in classe, ritrovare quell'appagante emozione dell'insegnamento tradizionale. I ragazzi, soprattutto nelle fasce di eta minori, hanno una fortissima necessità di recuperare quella socialità, soprattutto emotiva, che solo la classe, in presenza, riesce a garantire.
  • Serviranno più docenti per garantire classi meno affollate?
  • Serviranno spazi alternativi nei quali allestire un numero superiori di classi? 
  • Serviranno più risorse e fondi da dedicare alla scuola?
  • Serviranno compromessi e/o deroghe per sanare nell'immediato alcune situazioni?
Serva quel che serva ora è il momento. Se non ora quando? E soprattutto se non "NOI" chi? 


La politica si metta subito in moto e crei le condizioni utili perchè questo avvenga, senza polemiche, e senza ripensamenti coinvolgendo personale scolastico e sindacati della scuola, oltre che consegnare alle Regioni, e di conseguenza ai Sindaci, tulle le istruzioni utili all'allestimento delle strutture, delle procedure ed alla preparazione del personale, per un anno scolastico che rappresenti il simbolo chiaro ed inequivocabile di quella Rinascita di cui il nostro Paese ha tanto bisogno. Crediamoci.

Un abbraccio istruttivo,
La Redazione

domenica 26 luglio 2020

Cattolici e politica al tempo di Papa Francesco


Papa Francesco
Il tema dell’impegno sociale e politico dei credenti al tempo di Papa Francesco è un argomento assai stimolante. Ringrazio la Redazione per l'opportunità di utilizzare questo blog e spero, considerando la complessità del tema, di poter sviluppare il ragionamento con altri post. Inevitabile non iniziare dal 2013, anno della sua elezione, Papa Francesco ha testimoniato la vicinanza della Chiesa al Vangelo ed alle persone, soprattutto agli ultimi. Papa Francesco ha “testimoniato questa sua indole di misericordia” con parole, scritti e gesti.
Tra i gesti vorrei ricordare i seguenti: la visita a Lampedusa e le celebrazioni ecumeniche (cioè con altri rappresentanti di Chiese cristiane) per ricordare i bambini, le donne e gli uomini morti nel Mediterraneo per cercare di fuggire da siccità, fame, guerre, mancanza di lavoro; la visita alle industrie di Genova, in cui ha parlato di lavoro non solo come diritto ma come “unzione” di dignità per le persone; la richiesta di digiuno e l’affidamento al Signore della Storia in una piazza San Pietro deserta e scura, durante i terribili giorni della pandemia.
Tra le parole mi riferisco alle omelie semplici e profonde che quotidianamente comunica presso la Chiesetta di Santa Marta, in Vaticano. E’ un gesto umile di chi “spezza” la Parola di Dio per noi che lo ascoltiamo.
Tra gli scritti sono fondamentali gli accordi del 2018 con la Repubblica popolare cinese per la emersione della Chiesa cattolica costretta nei decenni nella clandestinità; Il documento congiunto del 2019 sulla Fratellanza Umana sottoscritto con il grande Imam di Al Ahzar, Al Tayiib, per promuovere la pace tra persone, popoli e religioni, e per allontanare lo spettro dei fondamentalismi violenti. Dobbiamo anche ricordare la enciclica del 2015 Laudato Sì, in cui pone al centro la questione ambientale, collegandola alla questione sociale e della lotta contro le ingiustizie globali.
Sul tema specifico dell’impegno in politica, Papa Francesco è conosciuto per una decisa presa di posizione. "Non è opportuno creare un nuovo partito cattolico". Così ha risposto a Gianni durante l’incontro con le comunità di vita cristiana (cvx) e la lega missionaria studenti d'Italia  svoltosi, in Aula Paolo VI Giovedì, 30 aprile 2015.

Gianni chiedeva: “Santo Padre, io sono Gianni, vengono dalla CVX dell’Aquila. Siamo impegnati da oltre 30 anni nel volontariato, nell’associazionismo e nella politica. Allora, nel nostro impegno nella vita sociale vorremmo che ognuno – specialmente chi è più giovane tra noi – comprenda che oltre al bene privato, troppo spesso prevalente, esiste un interesse generale che appartiene alla comunità intera. Santo Padre, quale discernimento può venirci dalla spiritualità ignaziana per aiutarci a mantenere vivo il rapporto tra la fede in Gesù Cristo e la responsabilità ad agire sempre per la costruzione di una società più giusta e solidale? Grazie”.
Papa Francesco ha risposto cosi: “Credo che a questa domanda che tu hai fatto risponderebbe molto meglio di me padre Bartolomeo Sorge – non so se è qui, no, non l’ho visto… - Lui è stato uno bravo! Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica. Ma si sente dire: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!”. Questa non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma… un partito solo dei cattolici”. Non serve, e non avrà capacità di coinvolgere, perché farà quello per cui non è stato chiamato. “Ma un cattolico può fare politica?” – “Deve!” – “Ma un cattolico può immischiarsi in politica?” – “Deve!”. Il beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. “Ma Padre, fare politica non è facile, perché in questo mondo corrotto… alla fine tu non puoi andare avanti…”. Cosa vuoi dirmi, che fare politica è un po’ martiriale? Sì. Sì: è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per questo, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco… ma si fa. Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche che hanno favorito la pace tra le Nazioni. Pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra: pensate a De Gasperi. Pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione. Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominarne più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune. Fare politica è martiriale: davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore; ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi. “No, Padre, io non faccio politica perché non voglio peccare” – “Ma non fai il bene! Vai avanti, chiedi al Signore che ti aiuti a non peccare, ma se ti sporchi le mani, chiedi perdono e vai avanti!”. Ma fare, fare…
E lottare per una società più giusta e solidale. Qual è la soluzione che oggi ci offre questo mondo globalizzato, per la politica? Semplice: al centro, il denaro. Non l’uomo e la donna, no. Il denaro. Il dio denaro. Questo al centro. Tutti al servizio del dio denaro. Ma per questo ciò che non serve al dio denaro si scarta. E ciò che ci offre oggi il mondo globalizzato è la cultura dello scarto: quello che non serve, si scarta. Si scartano i bambini, perché non si fanno bambini o perché si uccidono i bambini prima di nascere. Si scartano gli anziani, perché… gli anziani non servono… Ma adesso che manca il lavoro vanno a trovare i nonni perché la pensione ci aiuti! Ma servono momentaneamente. Si scartano, si abbandonano gli anziani. E adesso, il lavoro si deve diminuire perché il dio denaro non può fare tutto, e si scartano i giovani: qui, in Italia, giovani dai 25 anni in giù – non voglio sbagliare, correggimi – il 40-41% è senza lavoro. Si scarta… Ma questo è il cammino della distruzione. Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati lì! Da’ il meglio di te. Se il Signore ti chiama a quella vocazione, va’ lì, fai politica. Ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Scarta anche il creato, perché il creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quella parola del beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità. Non so se ho risposto…”.

Nei prossimi post proveremo a ripercorrere quali sono state le razioni del mondo cattolico e della politica a queste sfide stimolanti.

Giandiego Carastro