mercoledì 9 febbraio 2022

10 febbraio: Giorno del Ricordo

Il 10 febbraio, Il Giorno del Ricordo. 

Istituito dal Parlamento (con legge n.92 il 30 marzo 2004) per ricordare una pagina angosciosa che ha vissuto il nostro Paese. Il "giorno del ricordo" serve a mantenere accesa la memoria sulle atrocità di un epurazione su base etnica e nazionalistica volutamente e spietatamente pianificata. Le foibe, con il loro carico di morte, di crudeltà inaudite, di violenza ingiustificata e ingiustificabile, sono il simbolo tragico di un capitolo di storia, ancora poco conosciuto e talvolta addirittura incompreso, che racconta la grande sofferenza delle popolazioni istriane, fiumane, dalmate e giuliane“.

Accanto al Giorno della Memoria dedicato alle vittime dell'Olocausto, il Giorno del Ricordo si lega alle violenze e uccisioni avvenute in Istria, Fiume e Dalmazia tra il 1943 e il 1947.

La data non è casuale, infatto il 10 febbraio 1947 furono firmati i trattati di Pace a Parigi con il quale si assegnavano l’Istria, Quarnaro, Zara e parte del territorio del Friuli Venezia Giulia alla Jugoslavia. I territori in questione erano stati assegnati all’Italia con il Patto di Londra, mentre la Dalmazia venne annessa a seguito dell’invasione nazista in Jugoslavia.

Con il ritorno di questi territori alla Jugoslavia, ebbe inizio una rappresaglia feroce che colpì molti cittadini italiani innocenti, ritenuti implicitamente colpevoli di aver vissuto sotto il regime fascista. Fino a configurare quella che oggi gli storici descrivono come una vera e propria pulizia etnica: prigionia, campi di lavoro forzato e morte nelle foibe coinvolsero fra le 4.000 e le 5.000 persone, secondo una stima ancora approssimativa, comprese le salme recuperate e quelle stimate nonché, oltre a quanti furono infoibati, i molti che morirono nei campi di concentramento jugoslavi. Molti riuscirono a fuggire: un esodo di massa che coinvolse tra le 250 mila e 350 mila persone tra il 1945 e il 1956.

Le foibe sono insenature naturali formate da grandi caverne verticali presenti in Istria e Friuli Venezia Giulia.V eri e propri inghiottitoi naturali, molto diffusi nelle zone carsiche: la cavità si restringe scendendo in profondità per poi chiudersi e riallargarsi in un bacino, una forma che rende difficile la risalita e i soccorsi. Gli eccidi delle foibe commessi dai partigiani jugoslavi vedevano le vittime spesso gettate vive in queste cavità.

Il numero delle vittime italiane rimarrà imprecisato. I partigiani jugoslavi di Josip Broz Tito le presero perché italiane, nella Venezia Giulia, il Quarnaro e la Dalmazia, e le gettarono in profonde insenature, denominate Foibe. Le precipitarono vive, legate, i vivi con i morti, a morire per la caduta o più lentamente e atrocemente. Quel che si ritrovò non era contabilizzabile e ci si dovette accomodare alle stime: fra le 3 e le 5 mila persone, fino a 11 mila. La popolazione italiana fuggì da quei luoghi e da quelle città, che avevano nomi e storie italiane, lasciandosi alle spalle i morti e la propria vita. All’incirca 350 mila persone.

Molti italiani furono massacrati perché italiani e perché parlavano l’italiano, e prima furono degli italiani a massacrare chi, in quei luoghi, non era italiano e non parlava la nostra lingua. L’Italia fascista s’avventurò su quella strada per “spezzare le reni alla Grecia”, come tronfio annunciò colui che condusse l’Italia alla rovina materiale e morale: Benito Mussolini. Fu un disastro, cui l’esercito italiano non era preparato. Sarebbe dovuto servire per dimostrare a Hitler di cosa si era capaci, servì a chiarire di quanto si era incapaci. Così gli italiani furono soccorsi dall’alleato nazista.

Nello stazionare in quei luoghi gli italiani coprirono le azioni degli Ustascia, croati schierati al fianco dei nazifascisti. Di loro le SS naziste sottolineavano l’eccessiva ferocia e il sadismo. Considerata la fonte della critica sarà bene provare anche solo a immaginare cosa fecero. Quando la guerra ribaltò le forze e gli aggressori furono aggrediti fin dentro i loro paesi e fino alle loro capitali, Berlino e Roma, quel sangue ancora scorreva, chiamandone altro, copioso e di civili inermi, senza distinzione di sesso ed età.

Atrocità che non vanno ne negate ne tantomeno taciute, sarebbe questo un ulteriore crimine a oltraggio di quelle vittime. Un ricordo davvero tragico dove è sottile il confine tra la dolorosa memoria dell’orrore che si praticò e di quello che si subì. Su una cosa dobbiamo però essere chiari, perentori, lo dobbiamo fare almeno per le generazioni future, dichiarando tutti pubblicamente ed a voce alta che quel modo di ragionare produsse solo miseria, morte e disonore. La lezione deve essere il ripudio con ogni forza di quel modo di ragionare. Avere a lungo negato le Foibe o supporre di raccontarle fuori dalla loro storia, sono solo modi per riuscire a non capire e non imparare. È questo che ci siamo lasciati alle spalle costruendo quel che non si era mai visto prima: un’Europa senza guerre. Ma non basta averlo alle spalle, serve averlo sempre davanti agli occhi. Un ricordo acceso di quelle atrocità per evitare a noi stessi ed ai nostri figli di ripercorrere cosi miseri sentieri di egoismi e di povertà d'animo.

Il Circolo PD di Monte San Vito invita tutti a non chiudere gli occhi davanti a nessuna violenza, a nessuna sofferenza, perché la violenza non ha colore: è violenza e basta. 

Un abbraccio commosso,

la Redazione