Parte 1
Un secolo, cent’anni esatti, un tempo breve nel
respiro del Mondo, lungo e articolato dalla prospettiva della storia
dell’umanità e ancor più di quella italiana.
Nel fatidico anno 1848, l’anno delle rivoluzioni
e della primavera dei popoli europei, re Carlo Alberto di Savoia, sovrano del
Regno di Sardegna, primo tra i governanti di un’Italia ancora frammentata in
molte unità territoriali, alcune delle quali sottoposte all’ingerenza di
potenze straniere, emanava una propria Costituzione: lo Statuto Albertino.
1° gennaio 1948: in Italia entrava in vigore la nuova Costituzione di uno stato che, dopo la nera parentesi del regime fascista e la tragedia del secondo conflitto mondiale terminato meno di tre anni prima, sceglieva di mutare struttura ed organizzazione, passando dalla monarchia parlamentare ad un sistema repubblicano a seguito del referendum del 2 giugno 1946.
Questi due momenti sono fondamentali per la
storia del nostro Paese. Lo Statuto Albertino, con tutte le sue
limitazioni, è stato propedeutico allo sviluppo del periodo risorgimentale e
all’unità d’Italia, anche se poi, nel ‘900, non rappresenterà un argine contro
l’affermazione ideologica e politica del Fascismo, mentre la Costituzione del
1948 è la concretizzazione della lotta antifascista, dell’anelito alle libertà
e ai diritti civili di uno Stato che finalmente diventò davvero democratico
dopo gli anni drammatici della dittatura e della guerra.
Caratteristiche dello Statuto Albertino
La Costituzione Albertina era:
1) Ottriata (dal francese “octualier”), cioè
concessa dall’alto dal sovrano; pur nascendo in un contesto di profondo
fermento sociale per le rivendicazioni civili e patriottiche di una larga parte
della popolazione, era il sovrano a offrirla ai propri sudditi.
2)Flessibile: gli articoli
dello Statuto potevano essere modificati tramite leggi ordinarie del
Parlamento, quindi attraverso iter legislativi e burocratici relativamente
snelli e agevoli. Questo aspetto, se per un verso ha portato all’introduzione
di emendamenti in itinere, dall’altro ha permesso che lo Statuto stesso venisse
in qualche modo aggirato, se non disatteso in molti punti, con l’avvento del
regime dittatoriale di Mussolini e le leggi fascistissime.
3) Corta, cioè prevede un numero contenuto di
articoli e soprattutto pochi diritti.
Per quanto concerne la struttura dello Stato,
secondo i dettami dello Statuto Albertino quella sabauda si presentava come una
monarchia costituzionale pura: il sovrano, infatti, esercitava allo
stesso tempo la funzione di Capo dello Stato e di Capo del Governo,
partecipando, quindi, al potere esecutivo, legislativo. Il re aveva anche il
diritto di concedere la grazia ai detenuti e nominava i magistrati. Come si
evince da ciò, ancora non si può parlare di separazione dei poteri.
Il sistema parlamentare era bicamerale, cioè composto da
due camere:
1)Camera dei Deputati, organismo
elettivo: i rappresentanti venivano eletti tramite suffragio ristretto. Il
diritto di voto era prerogativa di una piccola parte della società del Regno di
Sardegna. Soltanto i nobili e i cittadini benestanti percettori di redditi
elevati potevano votare. Le donne erano escluse e sarebbero state ammesse a
questo fondamentale diritto di cittadinanza soltanto in occasione del
referendum del 1946.
2) Regio Senato: era composto da
senatori nominati direttamente dal re e la carica era a vita.
Il 1848, come si accennava sopra, fu un anno
fondamentale per la storia europea e italiana.
L’emanazione dello Statuto Albertino, in qualche
modo, rappresentò il preludio a quella fase del processo risorgimentale
che portò all’unità d’Italia.
Tra il 1848 e il 1849 si svolse quella che gli
storici chiamano Prima Guerra di Indipendenza. Mentre in molti Paesi
d’Europa si stavano verificando sollevazioni popolari, per la verità
espressione delle rivendicazioni politiche e sociali della borghesia, re Carlo
Alberto ruppe gli indugi e dichiarò guerra all’Impero Asburgico, che
controllava il territorio del Lombardo-Veneto.
Il conflitto, nonostante la partecipazione di
patrioti di tutta la penisola, non ultimo Giuseppe Garibaldi, non si risolse a
favore del Regno di Sardegna e Carlo Alberto, dopo la decisiva sconfitta nella
battaglia di Novara, assumendosi la responsabilità del fallimento, abdicò a
favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Il Piemonte restò comunque l’unico Stato
della penisola libero da ingerenze straniere e con un ordinamento relativamente
liberale. Già l’indirizzo del governo guidato da Massimo D’Azeglio, che
peraltro introdusse nuove leggi a limitare i privilegi di clero e aristocrazia,
evidenziò come il regno sabaudo fosse avviato ad una stagione di riforme e
cambiamenti che vennero poi promossi dall’esecutivo presieduto da Camillo
Benso conte di Cavour, politico di estrazione appunto liberale, che si pose
l’obiettivo di rendere il regno sabaudo uno Stato moderno e, negli ovvi limiti,
di respiro internazionale.
Dopo aver attuato delle riforme interne, tese
soprattutto a potenziare le infrastrutture del Paese e a renderne l’economia
più competitiva, in politica estera, con la partecipazione alla Guerra di
Crimea al fianco di Inghilterra e Francia, Cavour si ritagliò uno spazio nel
panorama europeo, dando visibilità internazionale alla questione dell’unità di
Italia.
Di lì a poco la Seconda Guerra di Indipendenza,
1859-1861, portò alla formazione del primo nucleo dell’Italia unita.
Dopo la proclamazione ufficiale del Regno
d’Italia, 17 marzo 1861, la valenza dello Statuto Albertino fu estesa a
tutto il Paese, tuttavia il cammino di armonizzazione delle differenze
culturali, sociali e antropologiche della penisola non fu privo di difficoltà,
poiché le problematiche da affrontare erano molteplici, dall’analfabetismo alle
tante varianti dialettali della penisola, passando per il divario economico tra
Nord e Sud.
Nel primo Parlamento del Regno d’Italia si
formarono due schieramenti politici principali, la Destra storica, erede del
pensiero di Cavour, che governerà il Paese dal 1861 fino al 1876, e la Sinistra
storica, i cui rappresentanti si riconoscevano negli ideali progressisti,
democratici e mazziniani.
La Destra storica, attraverso l’introduzione di
nuove imposte, soprattutto indirette, che gravarono particolarmente sulle fasce
più deboli della popolazione, raggiunse il pareggio di bilancio, ma non riuscì
a soddisfare la richiesta di riforme sociali, in quanto tale esecutivo era
soprattutto espressione della borghesia più agiata e in questo contesto il
diritto di voto, su base censitaria, era ancora limitato ad una esigua
percentuale di cittadini.
Ad ogni modo, la
natura flessibile dello Statuto permise l’introduzione di variazioni al sistema
politico, sociale e civile italiano attraverso leggi ordinarie, senza quindi la
necessità di dover riscrivere gli articoli dello Statuto medesimo. Non solo, lo
stesso ruolo del sovrano nel tempo andò progressivamente virando verso una
funzione di natura più istituzionale e rappresentativa che non fattiva. In
sostanza, possiamo parlare di evoluzione parlamentare e di crescita di
importanza del ruolo esecutivo del Governo.
Per quanto concerne l’evoluzione dello Stato,
nonostante gli esecutivi liberali si fossero già posti il problema
dell’istruzione, tanto che una prima riforma in tal senso era stata varata nel
1859 (Legge Casati), è con il governo della Sinistra storica che assistiamo a
interventi più incisivi in campo sociale, in primis nella lotta contro
l’analfabetismo. Nel 1877, infatti, venne approvata la Legge Coppino che
rendeva obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare, mentre qualche anno
più tardi, nel 1882, il diritto di voto, seppur ancora vincolato al censo,
venne esteso ad un numero maggiore di cittadini, dal cui novero, tuttavia,
risultavano ancora esclusi analfabeti, nullatenenti e le donne. Questo processo
di allargamento della platea degli aventi diritto di voto trovò una più fattiva
concretizzazione nel 1912, quando con l’esecutivo Giolitti si stabilì la
concessione del suffragio universale maschile senza vincoli di censo né di
istruzione.
Negli ultimi anni dell’800, culminati con
l’attentato a re Umberto I, a fronte di un forte malcontento popolare, cui
contribuì anche l’andamento della politica colonialista in Africa, e delle
manifestazioni della classe operaia, gli esecutivi che si susseguirono
attuarono, ove più ove meno, una politica spesso repressiva; in ogni caso, pur
in un quadro socio-politico agitato e taluni frangenti drammatico, in questo
periodo il cammino verso l’allargamento dei diritti civili iniziato con
l’emanazione dello Statuto Albertino continuò, come testimoniano la concessione
del diritto di sciopero e l’abolizione della pena di morte (Codice Zanardelli)
che sarà successivamente ripristinata con l’avvento del regime fascista che,
pur mantenendo formalmente lo Statuto medesimo, andrà limitando e soffocando le
libertà dei cittadini italiani.
Come poi vedremo, le conseguenze della Grande
Guerra, a cui l’Italia partecipò a partire dal 1915, avranno un ruolo
determinante nella preparazione di un terreno fertile per l’avvento del
Fascismo.
E la storia continua....
La Redazione