Prima
parte
Il
Pontificato di Francesco ha avviato dei processi universali, per
rimettere al centro le persone ed il creato, rispetto a logiche
economiche basate esclusivamente sulla produzione di nuove merci,
che trasformano i cittadini in consumatori e li inducono a rincorrere
l’acquisto di beni di consumo superflui o comunque non sempre
necessari. Nel precedente post, ho descritto solo alcuni dei passaggi
importanti di questo Pontificato. Mi è stato chiesto dalla Redazione
di dedicare un secondo post per dare conto delle posizioni contrarie
al messaggio di Francesco, sia dentro che fuori la comunità
ecclesiale.
Il
tema è reale, è presente sui giornali e sui blog: è stato trattato
dal giornalista Nello Scavo nel libro I
Nemici di Francesco, edizioni
Piemme, al quale rimando i lettori. Cosa succede? Succede che da
anni alcuni laici e (pochi) vescovi si dedicano a rivolgere accuse a
Francesco: la sua elezione sarebbe nulla; il vero papa sarebbe
ancora Benedetto XVI ; Francesco sarebbe eretico perché abbandona la
retta tradizione. Spesso tali laici e vescovi, critici con il Papa,
guardano con favore ai regimi di “democratura” (democrazia
illiberale o vicina alla dittatura). Perché questa acrimonia contro
il Papa?
A
mio avviso, i nuclei di oppositori al papato di Francesco possono
essere due: il primo di natura economico-finanziaria, il secondo di
natura teologica.
“Questa
economia uccide”, ha scritto chiaramente Francesco nella
esortazione apostolica Evangelii
Gaudium del 2013. Riporto i
numeri 53 e 54 della Esortazione apostolica:
“No
a un’economia dell’esclusione.
53.
Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro
per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a
un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia
uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia
assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il
ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più
tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che
soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della
competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia
il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse
di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza
prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se
stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare.
Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura,
viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello
sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con
l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza
alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei
bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli
esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.
54.
In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta
favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica,
favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una
maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che
non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana
e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e
nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel
frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere
uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare
con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione
dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di
provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non
piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci
di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che
non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la
calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato,
mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci
sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.”
Molto
probabilmente, i circoli finanziari di Wall Street piuttosto che di
Londra o Milano avranno reagito male nel leggere queste parole.
Infatti, il Papa chiede di trasformare il modello economico a livello
globale, continentale, nazionale, locale. I critici del Papa vedono
un attacco alle proprie dottrine di neo-liberismo estremo e accusano
il Papa di pensare poco alle anime e troppo ai corpi. In questo, il
nucleo “finanziario” si allea con il nucleo “teologico”,
poiché alcuni esponenti del mondo ecclesiale, del laicato e della
gerarchia, non concordano con il fatto che il Papa parli di come
migliorare le condizioni di vita materiali delle donne e degli
uomini. Qui, sta una dimenticanza, perché il cristianesimo è la
religione del Dio che si fa Uomo per salvare le donne e gli uomini,
in spirito, corpo, anima. Non solo nell’anima. I prelati che
accusano Papa Francesco vivono la smemoratezza di non ricordare che
esiste la Dottrina sociale della Chiesa, cioè un insieme di principi
che la Tradizione cristiana ha maturato alla luce del Vangelo e del
Magistero: dignità della persona umana; solidarietà, sussidiarietà,
bene comune (ecco un link utile:
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html).
Giandiego Carastro