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venerdì 20 novembre 2020

L'opinione: Sassoli, riformista o sovranista?

E poi succede quello che non ti aspetti, David Sassoli, attuale Presidente del Parlamento Europeo, chiede, o auspica, che "l'Europa cancelli i debiti contratti dai governi durante il periodo della pandemia", ed aggiunge, "non è accettabile che essi ricadano sui cittadini e sulle generazioni future, si abbia la capacità di scelte forti e coraggiose". Quello che non ti aspetti non tanto per la dichiarazione in se, ma per lo spessore stesso del dichiarante, per la sua cultura concertativa e politica, per la sua storia e non ultimo per il ruolo che ricopre. Di sicuro le sue parole, se lette con il giusto spirito critico e ripulite dalle immondizie populiste di questi anni sul tema, aprono negli organismi europei ad una riflessione molto forte, anche se, al momento, questa riflessione sembra molto ben celata, e lo fa soprattutto dal suo interno, non da nazionalista e lontanissimo da ogni possibile lettura sovranista. 

Una simile dichiarazione non può lasciarci indifferenti proprio perché, se non ben perimetrata (e nella dichiarazione il chiaro richiamo al debito del solo periodo di pandemia è centrale) rischierebbe di lasciare ampi spazi di galoppo ai tanti cani sciolti in giro per l'Europa (per l'appunto sovranisti e populisti). Ci piace comunque pensare che questa svolta di pensiero arrivi proprio da un uomo del Partito Democratico, Riformista nell'accezione più nobile del termine, con una visione paternalistica sul futuro prossimo che va oltre l'art.123 del funzionamento dell'Unione Europea stessa, laddove si dice che la BCE non può finanziare gli Stati membri, che va oltre un ragionamento più ampio sugli interessi, esclusivamente politici, delle diverse nazioni europee che per loro interessi interni osteggerebbero tale scelta, che va oltre anche al legittimo pensiero che, tale scelta, potrebbe minare la fiducia dei mercati verso la stessa Banca Centrale Europea. E' difatti un pensiero che "va oltre", di ampio respiro, di visione, probabilmente teso a smuovere e frugare nelle coscienze più statiche, ed egoistiche, dei diversi Governanti europei, europeisti o presunti tali.

Vogliamo credere e sperare che quel vento caldo ed avvolgente creato dal Recovery Fund, purtroppo anch'esso ancora ostaggio di alcuni veti, i soliti, sappia ancora soffiare e gonfiare non solo i membri delle Governance, ma le vele di quei Paesi che, da quel vento, potrebbero recuperare il gap economico-sociale epocale, a cui loro stessi, con le loro politiche esclusivamente assistenzialiste, si continuano a condannare, a partire dall'Italia. Una seconda possibilità, forse l'ultima, per spingere la così "rinnovata" Unione Europea verso quel futuro da soggetto centrale dell'economia mondiale per cui era nata e per cui ha ancora un senso crederci. Una seconda possibilità anche per rilanciare lo sguardo all'orizzonte dove, offuscato dalle nebbie di incompetenti statisti, c'è ancora il MES, con la sua linea di credito da dedicare alla Sanità, e per questo privo di ogni condizionalità e con tassi largamente inferiori a qualsiasi richiesta di credito attualmente in essere sul mercato. 

Due grandi opportunità per le quali c'è un però, il solito però italiano, o meglio di quell'italietta che vogliamo e dobbiamo superare, essi hanno bisogno di progettualità, ed è proprio li, in quegli spazi di tentennamenti, lunghe riflessioni e colpevoli ritardi che si inseriscono i venditori di fumo. Stavolta dobbiamo essere più bravi di loro, ci sono tutte le condizioni per un rilancio vero, autentico, affidiamoci alle competenze vere. Non perdiamoci in chiacchiere, la sfida stavolta non può essere recuperare le condizioni pre-Covid, non stavamo bene neanche allora, facciamo uno sforzo di memoria, andiamo oltre, basta immaginare un Paese migliore, è ora di costruirlo.

Un abbraccio europeista,

La Redazione



mercoledì 5 agosto 2020

Beirut, dalla deriva economica al dramma !

Beirut, distrutta nello spirito ancor più che nelle mura. La capitale del Libano è stata per anni custode di una lunga storia cosmopolita, oltre che importante centro culturale ed accademico. Ricchezza esposta, sbandierata a simbolo di un avvenente sfarzosità da far impallidire le maggiori capitali europee, era anche per questo denominata la Parigi del Medio Oriente. Gli anni Sessanta hanno rappresentato il periodo del suo massimo sviluppo economico, simbolo di quel mondo in continua rincorsa verso un economia arida, viscida, che porta guadagni, molti, per alcuni ma non produce sviluppo sociale. In altre parole le masse hanno sete e fame di cultura e la coltivano fino a quando essa non è distratta da fame e sete reale, fisica, biologica, in tutta la sua drammaticità.
La crisi economica del Libano affonda le sue radici in decenni di corruzione sistemica e di malgoverno della classe politica al potere dalla fine della guerra civile (1990). I libanesi hanno organizzato proteste di massa per chiedere un cambiamento politico radicale, ma poche delle loro istanze sono state soddisfatte, difatto la situazione economica è costantemente peggiorata dall'autunno scorso.

La crisi economica e sociale che sta attraversando il paese ha raggiunto livelli altissimi nell'ultimo periodo, e le tensioni tra le varie confessioni religiose sono oggi più forti che mai. Siamo inoltre a soli pochi giorni dal verdetto sull'attentato del 2005 in cui fu ucciso il premier Rafiq Hariri, azione per il quale sono sospettati alcuni membri Hezbollah (ma questa è un altra storia.... forse).

Come se non bastasse il Covid, che non attenua la sua diffusione e che si aggiunge a questa forte crisi finanziaria mai vissuta prima, nemmeno durante le guerre, che vede le sue origini in un paese che non produce nulla e importa tutto ciò che consuma.

Paradossale etichettare quella spaventosa esplosione come figlia del fato, Beirut ed i suoi Silos bianchi del porto erano sopravvissuti a 15 anni di guerra civile ed ai bombardamenti israeliani. Una tragedia che merita indagini serie e verità.

È ancora difficile immaginare un bilancio credibile dell'incidente al porto. Notizie contrastanti parlano di "oltre 100 morti" e più di 3000 feriti. Ed è a quelle vittime ed al dramma di quella gente che dobbiamo, a nostro avviso, un mesto silenzio, evitando, almeno in queste prime ore, ogni forma di analisi, da quella più criminale alla semplice e tragica "fatalità".

Verrà il tempo delle analisi e dei colpevoli, in genere sempre tanti ed illusoriamente "presunti", ora è tempo di silenzio, in rispetto del dolore, e di azione, in soccorso di quella gente.

Un abbraccio avvilito,

la Redazione



sabato 1 agosto 2020

RECOVERY FUND: SOLO UNA DISPONIBILITÀ DI FONDI O UN CAMBIO DI APPROCCIO?

Europa - Recovery Fund
                                                
Abbiamo girato la domanda al prof. Paolo Sospiro, Direttore EUABOUT BRUXELLES, ricercatore e docente di Economia delle imprese presso l’ Università di Firenze e l’Università Politecnica delle Marche.

“Il percorso europeo è sempre stato a strappi e, spesso, le accelerazioni sono avvenute a causa di imprevisti o di crisi interne o esterne, come nel caso della Brexit. Così come nel caso dell’accelerazione della moneta unica, della quale si è inizia a parlare e ragionare sin dal 1969, ma che poi avviene solo nel 1989 sospinta da rinnovata idea europeista derivante della caduta del muro di Berlino.

Così come nel 1969 l’esigenza di una moneta europea era nata dalla evidenza della crisi del dollaro a causa delle guerre in Corea e in Vietnam. Infatti, all’epoca, non dimentichiamo che tutte le monete erano ancorate al dollaro ed il dollaro era ancorato all’oro. Quindi tutti i paesi erano consapevoli che comprando dollari, potevano ricevere oro dagli Stati Uniti. Ma questo non era sostenibile con gli Stati Uniti che continuavano a stampare moneta per finanziare le guerre in Corea e in Vietnam. Tuttavia l’Europa a 6 dell’epoca non era stata in grado di andare oltre il cosiddetto Serpente Monetario Europeo. A Seguire negli anni ottanta l’ECU. Ma solo la forte volontà della Germania al momento della sua  riunificazione ha fatto sì che si giungesse al Trattato di Maastricht ed alla moneta unica e quindi all’euro.

Attualmente l’assoluta inaffidabilità di Trump e l’uscita del Regno Unito stanno portando alla difesa europea. Al momento si tratta solo di ricerca e sviluppo e acquisti comuni.

Così come le diverse crisi che si stanno susseguendo (l’attacco alle torri gemelle del 2001, la crisi economica del 2008, la crisi migratoria del 2015 ed infine il COVID-19) stanno costringendo i paesi membri, sempre più, a pensare ed agire in un’ottica comune in quanto le sfide davanti a loro sono troppo importanti per poterle affrontare da soli. Compresa la Germania che ne è ancora più consapevole.

Credo che quello del Recovery Found  sia un ulteriore passo avanti verso un maggiore coordinamento, da una parte, e una maggiore cessione di sovranità, dall’altra, da parte dei paesi membri.

Se tutto questo possa significare che presto ci saranno gli Stati Uniti d’Europa o un maggiore sistema Intergovernativo, credo che nessuno lo sappia perché i cittadini europei non sono ancora pronti a prendere decisioni di questa portata.

Un fatto è certo, nonostante la scarsa fiducia che emerge di giorno in giorno tra i paesi, e specie in alcuni paesi, gli stati membri trovano sempre una soluzione per stare insieme e superare le crisi che si trovano davanti.

Quello che possiamo dire è che il percorso europeo non è altro che superare le crisi insieme per evitare che il rischio di una guerra (commerciale, diplomatica o militare) sia sempre superato. Garantendo, allo stesso tempo, uno standard di vita sempre più elevato ai cittadini europei. Questo approccio e questi due obiettivi permettono di coniugare passato, presente e futuro e di coniugare gli interessi delle generazioni “passate” degli adulti di oggi e dei giovani di oggi e delle future generazioni.

A conti fatti, pensando solo agli ultimi 20 anni, nei quali nel mondo è accaduto di tutto, quello che possiamo sostenere è che il progetto europeo, per quanto criticale, lento, incompleto e sempre in ritardo abbia comunque garantito sempre una certa sicurezza e benessere nonostante, appunto, il mondo sia diventato un posto complicato. Basti pensare all’ascesa economica e politica della Cina, all’avvento dell’India, ai problemi degli Stati Uniti, alla Brexit, al fenomeno migratorio e tanto altro. Insomma, il processo europeo, credo che permetta ai paesi europei di avere una sorta di cuscino che attutisce e ritarda gli effetti degli avvenimenti che avvengono nel mondo. Oggi è fondamentale, quanto meno fino a quando il mondo non troverà un nuovo equilibrio."

 

Prof. Paolo Sospiro

martedì 21 luglio 2020

Recovery Fund, una nuova Europa Solidale


Arriva all'alba, e forse non è un caso. Un'alba simbolo di rinascita e di nuove speranze, in questo caso di rinnovate consapevolezze di "solidarietà tra popoli". 

Come afferma anche il nostro Segretario, Nicola Zingaretti, "L'Europa c'è ed è più forte e vicina alle persone. Un'Europa popolare. Grande battaglia del Governo Conte e bella vittoria per l'Italia. Ora servono visione, concretezza e velocità. Investimenti su green economy, digitale, infrastrutture, conoscenza, inclusione per rilanciare le imprese ed essere vicini alle famiglie"  

In sintesi, finalmente, il RecoveryFund.

Di seguito una sintesi di un accordo storico, il Recovery Fund:

1 - 750 miliardi di debito comune UE;
2 - 390 miliardi di sussidi a fondo perduto (312,5 per gli Stati membri e 77,5 per Bilancio UE);
3 - 360 miliardi di prestiti.

Un pacchetto inimmaginabile fino a 4 mesi fa, il Recovery Fund avrà condizionalità e governance rafforzate.

1 - Rispetto delle raccomandazioni "semestre europeo";
2 - "Super freno di emergenza" che permette anche a un solo paese di porre un veto e, di fatto, provare a bloccare le tranche di aiuti portando il caso al Consiglio Europeo che, entro pochi giorni, e con maggioranza qualificata, sarà chiamata a decidere per consenso.

Siamo comunque di fronte ad un accordo storico. Mai l'UE aveva deciso d'indebitarsi, collettivamente, senza stanziare trasferimenti fiscali tra paese. La Germania fino ad aprile e i cosiddetti paesi frugali fino alla scorsa settimana, e aggiungerei fino alla sera scorsa, erano inamovibili sull'idea di un "debito comune".

I 750 miliardi del Recovery Fund si aggiungono a:

1 - 240 miliardi del MES (37 per l'Italia, da investire in Sanità);
2 - 100 miliardi Sure (linee di credito Europee per finanziare le Casse Integrazioni);
3 - 200 miliardi Bei (Fondo Europeo di aiuto alle imprese, con particolare attenzione alle PMI, Piccole e Medie Imprese);
4 - 1.350 miliardi di PEPP della Bce (Pandemic Eemrgency Purchase Programme, uno strumento temporaneo di acquisto titoli per fronteggiare la crisi economica dovuta alla pandemia).

Cosa porta l'accordo per il nostro Paese:

1 - I Sussidi scendono da 81,8 Mld (proposta Commissione) a 81,4 Mld;
2 - I Prestiti salgono da 90,9 Mld (proposta Commissione) a 127,4 Mld.

Sulla base dell'accordo l'Italia ottiene un altro importante risultato; le misure di rilancio dell'economia adottate dopo il 10 febbraio 2020 potranno essere rimborsate (se rientrano nei criteri) anche se il Recovery Fund entrerà in funzione solo nel 2021. Una sorta di meccanismo di retroattività.

Senza dubbio l'Italia è uno dei Paesi che, conti alla mano, ci rimette meno e anzi, con il Recovery Fund, il nostro paese passerà da contrubutore a beneficiario netto dell'UE. Infine, a pagare il conto più oneroso dell'accordo saranno Germania, Francia, Paesi Bassi ed altri frugali, una prova di solidarietà senza precedenti.
Ora sta all'Italia dare prova di grande Responsabilità investendo in tutte quelle misure che possono, finalmente, segnare una svolta storica per il Nostro Paese, ed in questo il PD ha l'onere oltre che il dovere di essere una guida solida e concreta. Lo dobbiamo al futuro dell'Italia e lo dobbiamo alla grande storia di solidarietà che ci contraddistingue.

Un abbraccio solidale,
La Redazione