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lunedì 1 agosto 2022

Oltre le "Barricate" - Parma 1922 - Italia 2022

BARRICATE DEL 1922

Nell’estate del 1922, in seguito all’inasprirsi delle violenze fasciste contro le organizzazioni e le sedi del movimento operaio e democratico, l’Alleanza del Lavoro proclamò per il 1° agosto 1922 uno sciopero generale nazionale in “difesa delle libertà politiche e sindacali”. Contro la mobilitazione dei lavoratori si scatenò la violenza delle squadre fasciste lungo tutta la penisola.

L’Alleanza del Lavoro sospese lo sciopero il 3 agosto, ma le aggressioni aumentarono e solo in poche città fu organizzata la resistenza alle azioni delle camicie nere. Le spedizioni punitive ebbero così un totale successo con la distruzioni di circoli, cooperative, sindacati, giornali ed amministrazioni popolari.

A Parma, sola eccezione, gli sviluppi dello sciopero furono ben diversi: la città divenne teatro di una resistenza armata alle squadre fasciste che, dopo cinque giorni di combattimenti, risultò vittoriosa. I lavoratori avevano risposto compatti allo sciopero e, forti delle tradizioni locali del sindacalismo rivoluzionario, mostrarono ancora una volta grande capacità di mobilitazione e di combattività.

Con la locuzione fatti di Parma s’intende l’assedio operato dagli squadristi, comandati prima da un quadrumvirato locale e successivamente da Italo Balbo, alla città di Parma in cui si trovavano asserragliati gli Arditi del popolo e le formazioni di difesa proletaria, all’inizio dell’agosto 1922.

Nei primi giorni di agosto vennero perciò mobilitati dal PNF (Partito Nazionale Fascista) circa 10.000 uomini per l’occupazione di Parma, giunti dai paesi del parmense e dalle province limitrofe. La popolazione dell’Oltretorrente e dei rioni Naviglio e Saffi si prepara all’aggressione, innalzando barricate e scavando trincee, volendo difendere ad oltranza le sedi delle organizzazioni proletarie e di quelle centriste conoscendo le devastazioni che i fascisti avevano compiuto in altre località, come nel ravennate, guidati proprio da Italo Balbo. Mentre a livello nazionale lo sciopero si esaurisce in un fallimento completo, a Parma l’idea di resistere si radica sempre di più. Nei quartieri popolari i poteri istituzionali passano al direttorio degli Arditi del Popolo comandati da Guido Picelli. Il 6 agosto, su consiglio anche dell’ufficiale militare al comando della locale Scuola di Applicazione militare, Lodomez, ma soprattutto resisi conto dell’impossibilità di conquistare la città senza scatenare una vera e propria guerra, che avrebbe provocato una carneficina, i fascisti passarono il controllo dell’ordine pubblico all’esercito, impegnandosi a ritirarsi. Fonte: https://www.testeparlantimemorie900.it/

Sembrano davvero lontani i tempi in cui, mossi dalla forte necessità di resistere, i cittadini, i sindacati, e la politica si univano per respingere il nemico "oppressore" fascista.

Il tempo sembra aver cambiato le vicissitudini, negli ultimi anni, soprattutto a sinistra, i partiti hanno preferito dividersi, per rincorrere contenuti distanti, a volte, solo per qualche sfumatura cromatica, piuttosto che unirsi e rilanciare il Paese, insieme e da sinistra, con riforme necessarie. 

In quel 1922 a Parma gli scontri coinvolsero attivamente tutta la popolazione e venne superata ogni polemica politica tra le diverse tendenze: arditi del popolo, sindacalisti corridoniani, confederali, anarchici (Antonio Cieri comandò la resistenza del rione Naviglio), comunisti, popolari, repubblicani e socialisti combatterono, fianco a fianco, le squadre delle camicie nere.

Una lezione di UNITA' che non può essere dispersa ne dal tempo ne da facili populismi, una lezione di RESISTENZA che è utile oggi più che mai, alla vigilia di una tornata elettorale tra le più complicate ed importanti degli ultimi tempi. Una lezione di modernità da ricordare a chi si candita a Rappresentare i valori della Sinistra Riformista. 

Nelle settimane che ci dividono da questa importante tornata elettorale saranno fondamentali le nostre capacità di gurardare oltre quelle "Barricate" e di aprire le nostre sedi, e le nostre liste, a quella società civile che, da molto tempo invano, reclama un centro sinistra capace di rinnovarsi, costruendo un nuovo fronte democratico e liberale che sappia andare oltre le "Barricate", oltre la "Resistenza" per combattere nuovi "sovranismi" e facili "populismi".

Consiglio di lettura: "Oltretorrente" di Pino Cacucci.

Un abbraccio democratico,

Circolo PD Monte San Vito






lunedì 6 settembre 2021

Contributi per la Migliore Politica: Il lavoro al centro

Il lavoro al centro

Ricordando Giuseppe Di Vittorio e Giulio Pastore

Gli ultimi tre post sono stati dedicati al tema degli enti locali, dello sviluppo dei territori e del ruolo dei sindaci, a partire dal ricordo della sfida elettorale tra Giuseppe Dozza e Giuseppe Dossetti per il ruolo di sindaco di Bologna, nel 1956.

Oggi iniziamo ad affrontare il nuovo tema del lavoro. 

Ecco alcuni episodi di cronaca sociale:

“Lavoro disprezzato, a rischio tenuta democrazia. Andremo in piazza a chiedere la proroga del blocco dei licenziamenti”. Queste le parole dell’attuale segretario nazionale della CGIL Landini, pronunciate qualche giorno fa.

A giugno, Adil Belakhdim - rappresentante dei Si Cobase padre di due figli- è stato ucciso, travolto da un camion durante una manifestazione sindacale.

Nella nostra Regione, poche settimane fa, una importante azienda ha deciso di de localizzare alcune linee produttive in Polonia: una decisione contestata dai consiglieri regionali del PD!

Questa la cronaca…

A livello di valori, il lavoro è un tema importante per il PD, che si è sempre presentato come partito laburista, a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori. Per questo motivo, questo primo post è dedicato a Giuseppe Di Vittorio ed a Giulio Pastore, espressione dell’impegno sindacale per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

Giuseppe Di Vittorio:

Nacque a Cerignola in Provincia di Foggia nel 1892. Morì a Lecco nel 1957. Nel 1924 avviene l'incontro con Antonio Gramsci e con Palmiro Togliatti: aderisce al Partito Comunista. Nel 1941 è arrestato a Parigi dai nazisti e nel 1943 viene liberato e partecipa alla lotta di Liberazione. 

Impegno per il sindacato

Firmatario del Patto di unità sindacale di Roma del 1944 con Achille Grandi per i democristiani e Emilio Canevari per i socialisti, diviene segretario generale della Cgil unitaria e poi, dopo la scissione, della Cgil fino alla sua morte. Tra le sue innumerevoli iniziative, si ricorda il Piano per il lavoro, del 1949. Nel 1953 viene eletto presidente della FSM (Federazione Sindacale Mondiale).

Giulio Pastore:

Dati biografici

Nacque a Genova nel 1902. Morì a Roma nel 1969. Operaio tessile da giovane e iscritto all’Azione Cattolica, inizia  il suo impegno  sindacale  nell’Unione della Confederazione Italiana dei Lavoratori. Nel   1942   viene   arrestato   dalla   polizia   fascista. Nel secondo dopoguerra aderisce alla DC e viene eletto nelle elezioni del ’46 per l’Assemblea Costituente. 

Impegno per il sindacato:

È stato il primo segretario nazionale delle ACLI e ha accompagnato il travaglio del  movimento   sindacale   cattolico   che   lo   ha portato all’interno della CGIL  unitaria. Nel 1950 è tra i fondatori della CISL, sindacato di  ispirazione   democratica  e  cristiana. Sarà segretario   fino   al   1958,   quando  diviene ministro per lo sviluppo del Mezzogiorno nel governo Fanfani II. 

Ricordiamo, dunque, l’impegno per i lavoratori e le libertà sindacali da parte di Giuseppe Di Vittorio e di Giulio Pastore: la loro storia sindacale è stata animata da un profondo senso di giustizia nei confronti dei lavoratori, per la quale si sono assunti responsabilità in prima persona senza paura di pagarne le conseguenze. 

Nel prossimo post, approfondiremo le principali normative sul lavoro approvate dal Parlamento, per venire incontro ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Link per approfondire:

DI VITTORIO, Giuseppe in "Dizionario Biografico" (treccani.it)

PASTORE, Giulio in "Dizionario Biografico" (treccani.it)

Giuseppe Di Vittorio (rai.it)

A. CIAMPANI,  Giulio Pastore  (1902-1969).  Rappresentanza sociale e democrazia  politica,

Studium, Roma 2020.

V. SABA, Giulio Pastore sindacalista, Lavoro, Roma 1983.

Antonio Carioti. Di Vittorio. Bologna, Il mulino, 2004.

Anita Di Vittorio. La mia vita con Di Vittorio. Firenze, Vallecchi editore, 1965.

Carlo Ghezzi. Giuseppe Di Vittorio e i fatti d'Ungheria del 1956. Roma, Ediesse, 2007. Adriano Guerra e Bruno Trentin Di Vittorio e l'ombra di Stalin. L'Ungheria, il PCI e l'autonomia del sindacato. 

Davide Lajolo. Il volto umano di un rivoluzionario: la straordinaria avventura di Giuseppe Di Vittorio. Prefazione di Luciano Lama, Firenze, Vallecchi, 1979.

Giandiego Carastro




martedì 31 agosto 2021

Contributi per la migliore politica: Ruolo dei sindaci

Quello che state per leggere è il terzo post dedicato al tema del ruolo dei sindaci. E proviamo a fare un bis, cioè a ripetere l’esperienza dell’ intervista al Segretario del PD di Monte San Vito, ing. Matteo Sticozzi, ed al portavoce del PD di Villa San Giovanni (Reggio Calabria), dott. Enzo Musolino.

Avete potuto leggere i due precedenti post, dedicati alla sfida elettorale del 1956 tra Dozza e Dossetti e ad un recente incontro organizzato a Bologna da Repubblica. Cosa ne pensate?

Risponde Enzo: Davvero ottimo l’incontro a Bologna. Riprendo l’intervento del Presidente dell’ANCI: se è vero che sarebbe assurdo parlare oggi di un partito dei sindaci, è verissimo che i sindaci sono gli unici organi delle istituzioni pubbliche a diretto contatto con i cittadini e che soffrono su di loro il peso delle responsabilità.  Responsabilità amministrative, penali, come nel caso recente del bambino di Crema che si è incastrato le dita nel cancello della scuola ed il sindaco si è preso la denuncia penale.

Risponde Matteo. Credo che manchi un punto importante e che deriva dall'antipolitica. Per fare il Sindaco, oggi più che nel passato, è necessario disporre di una preparazione e conoscenza della macchina amministrativa, che molti sindaci di piccole comunità non hanno; di capacità di discernere l'evoluzione della società. Ritengo che manchi la componente di formazione politica da cui deriva l'impostazione dell'amministrare rispetto ad una visione verso cui si intende indirizzare il futuro della comunità. Se, come spesso accade , l'azione primaria è  occuparsi  della normalità, che dovrebbe essere in capo ai funzionari, allora  non si parla più di ruolo del sindaco ma di un normale  lavoro . Fare il Sindaco è ben altra cosa.

Quali problematiche ritenete importanti far emergere, quando si parla di sindaci?

Risponde Enzo: Il problema che vorrei porre è in relazione alle retribuzioni.  Bisogna essere concreti e pragmatici. Un sindaco prende una retribuzione bassa, se la paragoni a quella di un semplice consigliere regionale che non ha alcuna responsabilità paragonabile a  quella di un sindaco. La emergenza di responsabilità penale gigantesca e la retribuzione- per nulla  paragonabile al ruolo - spingono molti ad allontanarsi da questa responsabilità. Ed è un peccato. La prassi e la palestre negli enti locali potrebbero essere un buon viatico per successive responsabilità.

Risponde Matteo. Premesso che fare il Sindaco è una scelta che attiene alla parte di noi che afferisce all'area del contributo che si vuol dare alla comunità, è altrettanto vero che esiste un forte squilibrio tra le competenze e l'impegno richiesti e il riconoscimento economico. Su questo fronte va tenuto conto anche la situazione di squilibrio tra un dipendente pubblico, un dipendente del mondo privato e un libero professionista. Nel caso del dipendente pubblico, la condizione che deriva dal suo statuto giuridico risulta privilegiata, visto che mantiene tutte le tutele del proprio contratto di lavoro. Per il mondo delle professioni, l'appannaggio riconosciuto con il ruolo ricoperto  risulta del tutto inadeguato, anche in considerazione del fatto che un professionista deve sviluppare il suo mercato giorno per giorno. Il rischio è che il ruolo di Sindaco possa diventare un lavoro per chi non lo ha o per privilegiati che hanno un posto pubblico.

L’ultima domanda…che prospettiva volete lanciare?

Risponde Enzo: Vorrei essere provocatorio: magari sarebbe necessario mettere in Costituzione che prima di assumere cariche più ampie (in Consiglio regionale, nei Comuni metropolitani, in Parlamento) si debba fare un pregresso background amministrativo. Lascio ai lettori ed alle lettrici questa provocazione…

Risponde Matteo. Alle forze politiche strutturate, suggerisco di riprendere il percorso di selezione del personale che dovrà assumere incarichi istituzionali nella sequenza che va dal Comune al Parlamento….Personale che abbia dimostrato competenze certificate nel ruolo in cui opera e che conosca la storia dell'Italia e dell'Europa, visto che della stessa il nostro Paese ne è stato il promotore. Non è pensabile avere amministratori - a qualsiasi livello- che non conoscono l'ABC del mondo in cui vivono, come si è arrivati alla situazione storica in cui siamo... Se i Sindaci sono il primo anello della “catena istituzionale”, devono essere i più ferrati nella capacità di trasmettere il pensiero repubblicano, della convivenza civile, dell'importanza del rispetto delle leggi, del rispetto e dell'integrazione tra i popoli, agendo fattivamente in tal senso. Molto altro sarebbe da riportare ma non vorrei annoiare il lettore. Ringrazio Giandiego per il lavoro che sta portando avanti e che spero possa essere un punto di partenza per una rinascita della cultura istituzionale molto spesso violentata nelle piccole comunità e dall'antipolitica. Vedasi, per esempio, quanto accaduto a Voghera.

Giandiego Carastro

domenica 25 luglio 2021

Contributi per la Migliore Politica Oggi, come stanno i sindaci?

Nel post precedente ci siamo soffermati sul ricordo della sfida elettorale del 1956 tra DC e PCI a Bologna,  tra i candidati  Giuseppe Dossetti e Giuseppe Dozza. Continuiamo ad occuparci del ruolo dei sindaci, delle difficoltà che incontrano, delle sfide in arrivo…

Nei primi cinquant’anni circa della nostra Repubblica, i candidati in Parlamento oppure nei Consigli regionali provenivano dai partiti e dalle loro "scuole di formazione interna". A partire dagli anni 90 del secolo scorso, un bacino importantissimo da cui trarre la nostra classe dirigente nazionale sono diventati sindaci e, più in generale, gli amministratori locali. Questo forse anche a causa della legge 25 marzo 1993, n. 81 che introdusse la elezione diretta dei sindaci (prima i sindaci venivano eletti dai consigli comunali). 

Proprio negli anni Novanta, a seguito di questa riforma elettorale, ricordiamo la nascita di una stagione importante, ricca di passioni politiche a livello comunale che portarono ad un nuovo ruolo dei sindaci  in diverse città: a  Roma ( F. Rutelli), a Torino (V. Castellani), a Napoli (A. Bassolino), a Reggio Calabria (I. Falcomatà), a Venezia (M. Cacciari), a Milano (M. Formentini), a Palermo (L. Orlando), etc… Ai sindaci di quel decennio si collegò in un certo senso una nuova primavera democratica.  Per tutti, cito il cosiddetto “rinascimento” di Napoli e la riqualificazione del tessuto socio-urbanistico…

Questo…trent’anni fa. Ma oggi, come stanno i sindaci? Che ruolo stanno avendo? Il loro ruolo è più facile o più difficile di 20 anni fa? Dove si incontrano le maggiori difficoltà? Invece, quali sono gli ambiti di maggior innovazione? 

Ho rivolto queste domande a Gianni, un mio amico padovano che da decenni studia i fenomeni partecipativi locali, in tema di società e innovazione e che è impegnato in Argomenti2000 (e non solo).  Egli mi scrive così,  sul tema del ruolo dei sindaci oggi: “ In mesi recenti ho visto all'opera alcuni sindaci, soprattutto di comunità di non grandi dimensioni. Mi sembra che siano soprattutto "tesi" a far bene, a svolgere "con efficacia" il mandato ricevuto. Certo. NON sempre sono aiutati dalla formazione pregressa, o dal contesto "esigente", o dal ruolo - differenziato - dei partiti”.

Proprio sul legame tra partiti, comunità locali e ruolo dei sindaci si è svolto un recente incontro organizzato a Bologna da Repubblica delle idee.

Il  tale sede, il Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, Antonio Decaro, ha chiesto alle istituzioni nazionali di far contare di più i sindaci. “Io non credo sia il tempo del partito dei sindaci, ma i sindaci possono rappresentare il Paese in una dimensione nazionale”, ha dichiarato a Repubblica il 12 luglio scorso. Proprio Repubblica aveva organizzato il giorno prima a Bologna un incontro su questo tema, con la attuale sindaca di Crema Stefania Bonaldi e con il candidato PD a Sindaco di Bologna, Matteo Lepore. 

Il moderatore dell’incontro è stato il giornalista Stefano Folli, che ha messo il dito in una piaga: politici e sindaci appartengono a mondi che stanno diventando distanti, a mondi che non si parlano abbastanza…I relatori hanno espresso un disagio: i sindaci sono responsabili di troppe cose: dal marciapiede sconnesso che fa inciampare un cittadino alle dita di una bimba, schiacciate dalla porta antincendio di un asilo (fatto realmente accaduto a Crema). Proprio la sindaca di Crema ha sottolineato la peculiarità di chi è amministratore:  i sindaci sono immersi nella realtà, costretti alla concretezza, abituati alla compassione. 

Conclusioni:

Per alcuni osservatori gli 8 mila sindaci vivono una fase di stanchezza, perché amministrare è sempre più complesso, i cittadini sono sempre più esigenti o arrabbiati (v. la pervasività dei social-media ed il controllo assiduo dei cittadini nei confronti dell’operato dei sindaci), i vincoli economico-finanziari di Roma sono forse eccessivi ed i bilanci comunali sono sempre più esigui…
Ma - come dimostrano le testimonianze raccolte recentemente da Repubblica - i sindaci rappresentano un pilastro fondamentale della democrazia repubblicana e come tale il loro ruolo va apprezzato, tanto più che dal PNRR arriveranno ingenti risorse da investire per migliorare le situazioni territoriali in tema di ambiente, riqualificazione urbana, coesione sociale…
Possiamo concludere dicendo che essere sindaco oggi è più complicato di un tempo, ma - in una logica di rete - i sindaci rimangono  protagonisti decisivi, insieme alle istituzioni nazionali e regionali, alle forme associate della società civile, ai cittadini ed alle cittadine attive sui social e nei contesti locali...

Per approfondire:

Ecco il lini alla videoregistrazione dell’incontro di Repubblica delle idee
Rep Idee 2021 - Bologna e il fronte dei sindaci: Lepore, Bonaldi e Decaro - la Repubblica

Sul rinascimento napoletanto
Napoli ieri: il rinascimento napoletano, “passo dopo passo”… (napoliflash24.it)

La  prof.ssa Francesca Gelli ha scritto un libro sulla democrazia locale, tra rappresentanza e partecipazione

La democrazia locale tra rappresentanza e partecipazione - FrancoAngeli.

Giandiego Carastro




martedì 11 maggio 2021

Contributi per una Migliore Politica: Il PCI e la DC negli anni 70 Alla luce di Berlinguer e Moro, che PD costruire insieme?

 Seconda parte dell’ ntervista a Matteo Sticozzi del PD di Monte San Vito (Ancona) ed

a Enzo Musolino del PD di Villa San Giovanni (Reggio Calabria)


Con questo post proseguiamo l’intervista al Segretario del circolo del PD di Monte San Vito, ing. Matteo Sticozzi ed al portavoce del PD del circolo di Villa san Giovanni (Reggio Calabria), dott. Enzo Musolino. Ecco altre tre domande ai nostri interlocutori che ringraziamo per aver avviato questo dialogo a distanza tra Marche e Calabria..

Domande n. 5

Il presidente di Argomenti 2000 ed ex deputato PD, Ernesto Preziosi, ha dichiarato su Avvenire che occorre che il PD riprenda quel progetto culturale in cui trovava un posto importante il cattolicesimo democratico. Ha anche chiesto al Segretario Enrico Letta di rendere il PD un partito non agnostico, ma plurale. Cosa significa concretamente per Voi che il PD sia partito plurale e non agnostico? Vi ritrovate in questa affermazione del Presidente di Argomenti2000?

Risposta di Enzo

Un partito plurale significa un partito aperto alle contraddizioni feconde e alla messa in critica del concetto di identità. Ce lo sta insegnando Papa Francesco e la Fratelli tutti lo dice chiaramente: il “fissismo etico” è un limite!  Di fronte ai grandi problemi sociali va utilizzato un approccio laico di tipo giuridico: la mediazione, il compromesso, non sono parolacce, sono il buon viatico per le Riforme!  Mi sembra, invece, che dietro lo spauracchio dell’agnosticismo si possa nascondere il richiamo nefasto a nuovi e pericolosi “valori non negoziabili” che hanno fatto il male di una lunga stagione del cattolicesimo democratico a guida clericale.  Nel tempo Penultimo sono tante le Strade che possono condurre al benessere e al bene comune!  La responsabilità individuale, il culto della Persona, la lotta alle diseguaglianze, il rilancio della stagione dei diritti, devono essere il “faro ideale” del Partito Democratico, insieme all’Ideologia Necessaria della Repubblica (espressione questa di Aldo Moro), ossia l’Antifascismo!

Risposta di Matteo

La società è plurale, la famiglia è plurale e meno male che lo è.

Le ideologie del passato, da ambo le parti, fanno parte di quel tempo di quella società del livello culturale del momento. Ritengo ne giusto ne sbagliato ma in quel momento, esattamente un secolo fa, la condizione del popolo era ben diversa rispetto ad oggi. Se nascevi figlio di bracciante eri destinato a restare tale. Quelle condizioni hanno portato alla polarizzazione e ad arroccamenti. L'esperienza del fascismo e la lotta partigiana hanno dato il via ad un percorso, seppur lento, ad un dialogo, in nuce, che ha portato alla Costituzione e a battaglie per migliorare le condizioni dei più deboli. Venendo ad oggi il Partito Democratico è già plurale e deve esserlo sempre di più sui temi di interesse comune nel rispetto di tutti i credi e convinzioni confrontandosi ad ampio raggio assumendo un ruolo di aggregatore con capacità di sintesi verso una visione di futuro di lungo respiro. 

Domande n. 6

Ci aspettano mesi interessanti, di dibattito interno al Partito e con la società civile… In questi anni, abbiamo letto di posizioni favorevoli alle primarie, di posizioni contrarie alle primarie, ma anche di posizioni favorevoli alle primarie solo per indicare i candidati nelle istituzioni per la coalizione di centrosinistra, lasciando agli iscritti il compito di eleggere le cariche di partito. Sempre Preziosi, intervenendo alla ultima assemblea nazionale del PD, ha chiesto di ragionare sulla forma-partito.

Cosa pensate delle primarie? Dove il PD ha mostrato fragilità? Cosa invece sta andando bene?  Cosa vi aspettate dalle Agorà democratiche?

Risposta di Enzo

Le Primarie sono un falso problema.  Tutti gli strumenti possono essere utili in una fase storica e deleteri in un’altra. Negli ultimi anni abbiamo vissuto una disarticolazione progressiva del Partito, con i Circoli e i militanti abbandonati a loro stessi. I territori, nel silenzio della dirigenza nazionale, hanno “salvato” la Comunità Democratica, auto tassandosi, mantenendo accesa la luce all’interno delle sezioni, occupandosi del territorio e aprendosi alla cittadinanza.  Oggi Enrico Letta, meritoriamente, ha deciso di ripartire dai Circoli, dagli Iscritti e, quindi, dai militanti.  È questa al Via!  Le Primarie non potranno più essere l’occasione regalata ai nemici del PD per metterlo in difficoltà, attraverso “falsi elettori” pronti a condizionare le scelte del Centrosinistra.  Per questo, a mio parere, lo strumento va profondamente ripensato, riportandolo all’interno di una dinamica di iscritti/militanti/elettori.

Risposta di Matteo

Le primarie, secondo il mio punto di vista, nacquero in un contesto politico che doveva cambiare ma che in realtà è rimasto quello che era nel '900 anzi è peggiorato diventando uno strumento di potere di singoli in cerca di prestigio e potere. In queste condizioni non possono funzionare anzi favoriscono l'infiltrazione di gruppi interessati a portare in ruoli apicali i più spregiudicati e spesso rappresentanti di lobbisti. Non esiste nessuna organizzazione strutturata che quando è il momento di rinnovare i suoi organi faccia decidere a soggetti non appartenenti ad essa. In questo modello manca il rispetto di chi lavora tutti i giorni nel territorio; sostiene i costi della politica locale e per questo non può essere equiparato al primo che passa il giorno delle primarie. Personalmente nelle ultime elezioni amministrative locali ho assunto  insieme a tutto il direttivo, la responsabilità di indire primarie tra gli iscritti per la scelta del candidato sindaco.

Oggi c'è necessità di rivedere l'organizzazione del Partito ma ancora più importante è definire in modo chiaro la propria linea e chi si vuole rappresentare. Da troppo tempo mancano entrambi o almeno non sono evidenti ai cittadini.

Cosa sta andando bene? Che nonostante tutto i circoli ancora operano sul territorio e rappresentano il vero motore del Partito. Il nuovo segretario Letta, se mantiene la promessa, potrà rigenerare il Partito a patto che definisca bene gli obiettivi per cui ci batteremo. Per quanto riguarda le Agorà mi aspetto un dibattito aperto, franco impostato sulla chiarezza e sulla proposta. Un contributo aperto alla integrazione derivante  del confronto con i cittadini e associazioni.

Il Partito che si riappropria del suo ruolo di formatore e informatore su temi attuali ma di visione di lungo respiro. Tornare a dare speranza a chi oggi vedo tutto nero. Scaldare i cuori dei più deboli che potranno vedere chi si batte al loro fianco.. .

Domande finale, n. 7

Siete esponenti di un circolo PD dell’Italia di Centro e del nostro meridione. Reputo una novità questa possibilità di dialogo tra circoli di diverse regioni. Che Italia è questa in cui operiamo? Dal vostro punto di vista, cosa il PD deve rivendicare nel PNNR per dare attuazione a questa strategica visione del futuro del Paese?

Risposta di Enzo

Il Pd deve rivendicare livelli unici e garantiti di prestazioni sanitarie e sociali in tutto il territorio nazionale. Deve rivendicare risorse e investimenti perequativi per le aree in difficoltà. Deve rilanciare le infrastrutture al Sud per il bene di tutto il Paese. Si tratta di affermare un nuovo Meridionalismo che sia davvero questione comune, nazionale, propria di tutti i sinceri democratici. Questo, in fondo, ci chiede l’Europa e fondi Comunitari svincolati per affrontare la Pandemia e le ricadute sociali di questa crisi epocale, hanno l’obiettivo – finalmente – di risolvere problemi endemici per troppo tempo non affrontati.  Il PD deve essere solo conseguenziale! Io ho fiducia in Enrico Letta!

Risposta di Matteo

Per rispondere a questa domanda servirebbero almeno 10 incontri tematici che però dovrebbero partire dall'unità d'Italia. In questo periodo sto leggendo alcuni saggi del giornalista Pino  Aprile, giornalista appassionato e “incazzato”, su come è avvenuta l'unità del nostro paese. Non è un diletto puro ma, come in tutte le cose, prima di dare dei pareri bisogna conoscere l'oggi ma ancor di più come ci si è arrivati. Su questo il Partito dovrebbe fare  mia culpa e decidere di prendere di petto la situazione del Sud ed oggi anche del Centro Italia. Dai dati, adeguatamente documentati, nei testi di Aprile e di molti studiosi emerge chiaramente che:

Il sud è stato colonizzato dal nord e saccheggiato

che il sud  era dopo Inghilterra e Francia il terzo regno d'Europa (nel 1860) per cultura, benessere, flotta commerciale, innovazione. Napoli aveva i più grandi e stimati cantieri navali d'Europa. Due terzi dei prodotti venivano esportati. Il bilancio del regno era in attivo per 420 Milioni, quello dei colonizzatori sabaudi in forte perdita e non riusciva a pagare i debiti dovuti alle guerre che aveva sostenuto..

Dopo l'unificazione tutto fu trasferito al nord, le tasse furono triplicate, l'economia azzerata, le infrastrutture interrotte quelle in costruzione, zero investimenti, le scuole investimenti zero, ecc...

Obiettivo: fare del sud un mercato di consumo dei prodotti del nord, senza concorrenza, e riserva di manodopera per il nord estirpando milioni di cittadini dai loro territori.

Questo è continuato e continua ancora oggi con le leggi Tremonti - Gelmini che al Sud hanno sempre tagliato e usurpato pure i fondi europei che spettavano al SUD dirottandoli al Nord: Ricordate la multa da 4 Miliardi sulle quote latte sforate dagli allevatori del Nord? Chi ha pagato è il Sud togliendosi 4 miliardi dei fondi FAS dell'Europa.

Cosa deve fare il PD? Partire da questa situazione. La Quistione Meridionale si è aggravata, è ora di iniziare a far trasferire i fondi di ripartizione che spettano al SUD senza nessun taglio.

Nella ripartizione dei fondi deve valere il principio che chi ha i livelli di servizio più bassi deve avere più fondi per raggiungere i livelli di servizio (asili nido, strade, ferrovie, istruzione ecc...) equivalenti al resto delle altre regioni.

Grazie ancora a Matteo ed a Vincenzo…sono sicuro che questo esempio di approfondimento e di dialogo a distanza potrà dare giovamento anche alle imminenti agorà democratiche…

Giandiego Carastro