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mercoledì 22 dicembre 2021

Contributi per la migliore politica Don Luigi Sturzo continua a parlarci…

Prima parte dell’intervista al prof. Ernesto Preziosi

Dopo l’intervista a Giorgio Benigni su Antonio Gramsci, presentiamo l’intervista su don Luigi Sturzo rivolta al prof. Ernesto Preziosi.  Nella precedente Legislatura, Preziosi è stato deputato, eletto per il PD, membro della Commissione Bilancio. Dirige il Centro di Ricerca e Studi Storici e sociali ed ha promosso Argomenti2000, associazione di amicizia politica. Tra i suoi recenti saggi: Un altro Risorgimento. Alle origini dell’Azione Cattolica per una biografia di Giovanni Acquaderni, San Paolo edizioni e la curatela di Ci vorrebbe un pensiero, Edizioni Vita e Pensiero, sui 100 anni dell’Università Cattolica. Nel 2015 è venuto al centro Carlo Urbani di Monte San Vito per presentare il suo libro Una sola è la città (Ave).  

Gentile Prof. Preziosi, grazie per il tempo dedicatoci.

Vorrei iniziare con questa domanda: sono 150 anni dalla nascita di don Sturzo. Tra le sue molte opere ed innovazioni, per cosa ricordiamo don Sturzo?

Oltre ai 150 anni dalla nascita, vorrei ricordare che due anni fa è ricorso il centenario dell’Appello ai liberi e forti del 1919, quando don Sturzo ed altri uomini hanno fondato il Partito popolare italiano. L’ importanza del richiamo ai liberi e forti va considerato sia come spinta morale che in termini di metodo. I credenti operano nei diversi contesti storici, offrendo risposte, dando vita a strumenti, che ritengono idonei a raggiungere il fine che è legato al senso stesso dell’impegno politico del cristiano: operare non già per sé o per gli interessi della Chiesa, bensì per il bene comune.

Don Sturzo nasce come un fungo? Oppure il contesto ecclesiale del tempo lo ha aiutato?

Il contesto ecclesiale è fondamentale, penso alla enciclica Rerum Novarum del 1891, prima enciclica che affronta i temi del lavoro, del capitalismo, dei diritti e doveri del lavoratore. Il papa fu Leone XIII, papa Pecci. Papa Pecci inaugura la dottrina sociale della Chiesa, dove tematiche come il lavoro, la società, lo Stato, la centralità della persona umana vengono riaffermate nel contesto della modernità figlia dei Lumi e del Romanticismo. 

Don Sturzo è passato alla storia del Novecento come fondatore del PPI, una partito di programma, non confessionale, nel gennaio del 1919. Dal punto di vista della cultura politica e dei rapporti con il movimento cattolico, cosa accade con la fondazione del PPI nel 1919?

Fondando il PPI, Sturzo mette di fatto fuori gioco i blocchi clerico-moderati e  le relative intese, iniziate già nel 1904, proseguite nelle elezioni di cinque anni dopo e nel 1913 con il Patto Gentiloni. Sturzo, sempre contrario a queste intese, con la sua iniziativa tenta di raccogliere intorno alla proposta programmatica anche quelle che sono le differenti anime del cattolicesimo italiano. 

Don Sturzo non fu solo, quando lanciò l’Appello ai liberi e forti. Quali personalità erano con lui?

Erano diverse e variegate. C’era il conte Santucci, persona ben introdotta in Vaticano e che esprime un orientamento conservatore. Accanto troviamo il murriano pratese Giovanni Bertini (eletto in Parlamento nel 1913 nel collegio di una cittadina a voi vicina, Senigallia), già aderente alla lega democratico-cristiana. Gli agrari della Sicilia sono rappresentati da Antonino Pecoraro, mentre da Rovigo viene l’avvocato Umberto Merlin organizzatore di leghe contadine e operaie. Presente anche Antonio Boggiano-Pico, espressione dell’industria siderurgica e metallurgica genovese.


Può aiutarci meglio a capire i rapporti con il movimento cattolico, con le parrocchie, ed in particolare con l’Azione Cattolica?

Stefano Cavazzoni esponente cattolico milanese, valutava come opportuno il legame del PPI con l’Azione Cattolica. Don Sturzo suonava tasti diversi, cioè quelli della opportuna distinzione. La coscienza politica di un partito nazionale- collegato da un capo all’altro d’Italia - opera non attraverso gli organismi di Azione Cattolica, ma nella coesione spirituale, nella fiducia operativa delle persone. La distinzione, più che il legame. Pur rimanendo fondamentale la formazione delle coscienze, che era ed è un compito specifico dell’Azione Cattolica.

Che idea aveva don Sturzo dei partiti politici?

Per lui, il compito specifico dei partiti politici in democrazia è quello di organizzare il corpo elettorale, prepararlo ed educarlo alla vita pubblica; di essere  intermediario tra gli organismi sociali, il potere delle amministrazione ed i cittadini; di aiutare i cittadini nella difesa dei propri diritti, indurli allo scrupoloso adempimento dei doveri pubblici, correggerne l’istinto demagogico e indirizzare al servizio del pubblico la impulsiva passionalità delle masse.

Nel prossimo post, proveremo ad attualizzare il pensiero di don Luigi Sturzo, sempre in compagnia di Ernesto Preziosi…

Per approfondire:

G. Bianchi, Dopo  Moro: Sturzo, Morcelliana, 2000

L. Ceci, Don Luigi Sturzo, il profeta coraggioso dei temi moderni, SEI, 1996

G. De Rosa, Il primo anno di vita del Partito Popolare Italiano, dalle origini al congresso di Napoli, La nuova cultura, Napoli, 1969.

A. Dessardo, Educazione e Scuola, Studium, 2021

E. Preziosi, Cattolici e presenza politica, Scholé- Morcelliana, 2020

Giandiego Carastro

domenica 25 luglio 2021

Contributi per la Migliore Politica Oggi, come stanno i sindaci?

Nel post precedente ci siamo soffermati sul ricordo della sfida elettorale del 1956 tra DC e PCI a Bologna,  tra i candidati  Giuseppe Dossetti e Giuseppe Dozza. Continuiamo ad occuparci del ruolo dei sindaci, delle difficoltà che incontrano, delle sfide in arrivo…

Nei primi cinquant’anni circa della nostra Repubblica, i candidati in Parlamento oppure nei Consigli regionali provenivano dai partiti e dalle loro "scuole di formazione interna". A partire dagli anni 90 del secolo scorso, un bacino importantissimo da cui trarre la nostra classe dirigente nazionale sono diventati sindaci e, più in generale, gli amministratori locali. Questo forse anche a causa della legge 25 marzo 1993, n. 81 che introdusse la elezione diretta dei sindaci (prima i sindaci venivano eletti dai consigli comunali). 

Proprio negli anni Novanta, a seguito di questa riforma elettorale, ricordiamo la nascita di una stagione importante, ricca di passioni politiche a livello comunale che portarono ad un nuovo ruolo dei sindaci  in diverse città: a  Roma ( F. Rutelli), a Torino (V. Castellani), a Napoli (A. Bassolino), a Reggio Calabria (I. Falcomatà), a Venezia (M. Cacciari), a Milano (M. Formentini), a Palermo (L. Orlando), etc… Ai sindaci di quel decennio si collegò in un certo senso una nuova primavera democratica.  Per tutti, cito il cosiddetto “rinascimento” di Napoli e la riqualificazione del tessuto socio-urbanistico…

Questo…trent’anni fa. Ma oggi, come stanno i sindaci? Che ruolo stanno avendo? Il loro ruolo è più facile o più difficile di 20 anni fa? Dove si incontrano le maggiori difficoltà? Invece, quali sono gli ambiti di maggior innovazione? 

Ho rivolto queste domande a Gianni, un mio amico padovano che da decenni studia i fenomeni partecipativi locali, in tema di società e innovazione e che è impegnato in Argomenti2000 (e non solo).  Egli mi scrive così,  sul tema del ruolo dei sindaci oggi: “ In mesi recenti ho visto all'opera alcuni sindaci, soprattutto di comunità di non grandi dimensioni. Mi sembra che siano soprattutto "tesi" a far bene, a svolgere "con efficacia" il mandato ricevuto. Certo. NON sempre sono aiutati dalla formazione pregressa, o dal contesto "esigente", o dal ruolo - differenziato - dei partiti”.

Proprio sul legame tra partiti, comunità locali e ruolo dei sindaci si è svolto un recente incontro organizzato a Bologna da Repubblica delle idee.

Il  tale sede, il Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, Antonio Decaro, ha chiesto alle istituzioni nazionali di far contare di più i sindaci. “Io non credo sia il tempo del partito dei sindaci, ma i sindaci possono rappresentare il Paese in una dimensione nazionale”, ha dichiarato a Repubblica il 12 luglio scorso. Proprio Repubblica aveva organizzato il giorno prima a Bologna un incontro su questo tema, con la attuale sindaca di Crema Stefania Bonaldi e con il candidato PD a Sindaco di Bologna, Matteo Lepore. 

Il moderatore dell’incontro è stato il giornalista Stefano Folli, che ha messo il dito in una piaga: politici e sindaci appartengono a mondi che stanno diventando distanti, a mondi che non si parlano abbastanza…I relatori hanno espresso un disagio: i sindaci sono responsabili di troppe cose: dal marciapiede sconnesso che fa inciampare un cittadino alle dita di una bimba, schiacciate dalla porta antincendio di un asilo (fatto realmente accaduto a Crema). Proprio la sindaca di Crema ha sottolineato la peculiarità di chi è amministratore:  i sindaci sono immersi nella realtà, costretti alla concretezza, abituati alla compassione. 

Conclusioni:

Per alcuni osservatori gli 8 mila sindaci vivono una fase di stanchezza, perché amministrare è sempre più complesso, i cittadini sono sempre più esigenti o arrabbiati (v. la pervasività dei social-media ed il controllo assiduo dei cittadini nei confronti dell’operato dei sindaci), i vincoli economico-finanziari di Roma sono forse eccessivi ed i bilanci comunali sono sempre più esigui…
Ma - come dimostrano le testimonianze raccolte recentemente da Repubblica - i sindaci rappresentano un pilastro fondamentale della democrazia repubblicana e come tale il loro ruolo va apprezzato, tanto più che dal PNRR arriveranno ingenti risorse da investire per migliorare le situazioni territoriali in tema di ambiente, riqualificazione urbana, coesione sociale…
Possiamo concludere dicendo che essere sindaco oggi è più complicato di un tempo, ma - in una logica di rete - i sindaci rimangono  protagonisti decisivi, insieme alle istituzioni nazionali e regionali, alle forme associate della società civile, ai cittadini ed alle cittadine attive sui social e nei contesti locali...

Per approfondire:

Ecco il lini alla videoregistrazione dell’incontro di Repubblica delle idee
Rep Idee 2021 - Bologna e il fronte dei sindaci: Lepore, Bonaldi e Decaro - la Repubblica

Sul rinascimento napoletanto
Napoli ieri: il rinascimento napoletano, “passo dopo passo”… (napoliflash24.it)

La  prof.ssa Francesca Gelli ha scritto un libro sulla democrazia locale, tra rappresentanza e partecipazione

La democrazia locale tra rappresentanza e partecipazione - FrancoAngeli.

Giandiego Carastro




mercoledì 25 novembre 2020

363 giorni all'anno: Donne tra paure e ipocrisie!

Dalla semplice spinta allo schiaffo, dalle minacce alle intimidazioni fino allo stalking, anche nella sua versione cyber, non meno devastante, dal revenge porn alla violenza fisica e sessuale vera e propria fino al femminicidio. Non si tratta solo di scene tratte da fictions televisive, o di titoli a effetto per i TG, sono storie drammaticamente vere, attuali più che mai. Su queste violenze l'ONU ha voluto accendere un faro istituendo, dal 1999, la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le Donne e di genere. Una giornata simbolo che, insieme all'8 marzo, richiama l'attenzione sul tema e cerca di far sentire meno sole tutte quelle vittime di questo abominio primordiale.

Come Circolo sentiamo l'esigenza di approfondire questo delicato tema e, per capirne di più, abbiamo intervistato la Dott.ssa Giorgia Martelli, criminologa e sociologa.

Chi c’è dietro la violenza di genere? Non solo il 25 novembre e l’8 marzo.

Purtroppo non serve cercare troppo distanti da noi, anzi, si tratta spesso di persone cresciute e che vivono nella nostra società e ancora oggi, alla fine del 2020, poco si fa per analizzarli e tentare di recuperarli. Di violenza nelle relazioni affettive se ne parla prevalentemente in due giornate, il 25 novembre e l’8 marzo, come se gli altri 363 giorni dell’anno non esistesse…

Quando leggiamo di violenze perpetrate ad una donna ci domandiamo cosa stiano provando i suoi figli? Se abbiamo dei vicini particolarmente litigiosi solitamente alziamo il volume della televisione o della radio per non sentire, è più facile e meno rischioso che chiamare le Forze dell’Ordine ed “impicciarsi degli affari altrui” ignorando inoltre che i loro figli stiano assistendo alle violenze.

Oltre alle donne che subiscono violenza ci sono infatti altre figure sulle quali ricadono le azioni dei maltrattanti: gli eventuali figli vittime di violenza assistita, gli orfani speciali nei casi di femminicidio, i familiari delle vittime.

La società patriarcale, della quale ancora portiamo addosso gli strascichi, ci ha insegnato come il maltrattamento sia un modello culturale che apprendiamo ed al quale diamo rinforzo in quanto via semplice alla risoluzione dei problemi emotivi e relazionali. Pensiamo alla violenza come il risultato di un insieme di fattori (culturali, psicologici e sociali) e che non sempre siamo consapevoli di fare del male ad un’altra persona o che ce ne venga fatto, o che lediamo o ci ledano i nostri sentimenti. Sin dalla nascita apprendiamo comportamenti da chi ci circonda, i nostri genitori ci educano in base a come sono stati a loro volta formati ed ancora oggi siamo immersi negli stereotipi come “il maschio non deve mostrare i propri sentimenti”, “le femmine sono fragili e vanno protette” e via dicendo.

La violenza sulla compagna è una nuova forma di droga, gratuita, sempre a disposizione, fare violenza non comporta costi per chi maltratta: dai giovani che cercano unioni a tutti i costi e diventare genitori presto, ai professionisti di mezza età, ai padri disarmati; alcool, depressione, droghe, problemi economici e lavorativi, sono solo alcuni dei fattori di rischio che amplificano la violenza. Chi agisce violenza attribuisce la causa del suo atteggiamento a fattori esterni non dipendenti da se. Il maltrattamento è un processo che l’uomo sceglie di mantenere per ottenere potere e controllo sulla vittima, non è una forma di conflitto coniugale a causa della disparità delle forze in gioco e della ripetuta sottomissione agita.

Qual è l’identikit dell’uomo che agisce violenza nelle relazioni affettive?

Non esiste uno stereotipo del maltrattante o della donna vittima, chiunque è a rischio di subire maltrattamenti ed agire violenza, importante è sensibilizzarci ed aumentare la consapevolezza di cosa producono le nostre azioni nei riguardi degli altri in modo da non agire in modo errato.

L’uomo violento non ha necessariamente disturbi psicopatologici e/o dipendenze da gioco d’azzardo, alcool e droghe. Non tutti i maltrattati sono pericolosi allo stesso modo: gli uomini mentono principalmente per salvaguardare la propria immagine con il mondo esterno, per salvare la reputazione con chi ha intorno e per prevenire le conseguenze legate all’ammissione.

I maltrattanti legittimano la violenza e quando non può essere motivata entra in gioco la negazione, occultando la violenza e le sue conseguenze o attribuendole un altro significato. Alcuni uomini sono convinti che la donna provi piacere nel venire violentata, credono che la vittima sia destinata a recitare il ruolo della preda e che lui abbia il potere. L’uomo ha sempre visto decretata la sua presunta superiorità attraverso l’esercizio del potere misogino e con l’avvento della separazione e del divorzio le donne vittime di violenza hanno trovato il coraggio e la forza di sottrarsi agli abusi.

Tra i fattori di rischio del maltrattante sono state evidenziate alcune caratteristiche ricorrenti tra le quali la scarsa assertività, la scarsa autostima, le scarse competenze sociali, l’abuso di sostanze, la scarsa capacità di autocontrollo, le distorsioni cognitive, l’inadeguata dipendenza, la violenza subita o assistita da bambini o in adolescenza, i precedenti comportamenti violenti, il disturbo antisociale di personalità. Gli uomini violenti non hanno necessariamente subito maltrattamenti nel corso dell’infanzia. I maltrattamenti non dipendono da momentanee perdite di controllo (il “raptus”, termine entrato nel gergo comune ed erroneamente utilizzato per “giustificare” la violenza contro le donne). L’uomo deve essere chiamato a rendere conto dei propri comportamenti abusivi e può essere accompagnato, attraverso trattamenti mirati, in un processo di assunzione di responsabilità e di acquisizione di nuove risposte orientate al rispetto.

Come si possono aiutare gli uomini ad uscire dal circolo della violenza?

Negli ultimi anni anche in Italia si sono sviluppate Associazioni e movimenti che aiutano l’uomo che ha agito violenza sulla propria partner o ex partner a lavorare su se stessi ed evitare di ricommettere gli errori del passato, non è un percorso semplice e non tutti coloro che lo intraprendono poi riescono a portarlo a termine: c’è chi lascia durante il percorso per poi tornare ed altri che abbandonano definitivamente, chi è stato invitato dal proprio avvocato per “fare bella figura” davanti al Giudice pensando di ottenere sconti di pena, chi invece è spinto dall’amore per i figli e chi chiede aiuto per cambiare realmente. Il maltrattante non è recuperabile in tutti i casi purtroppo, il lavoro è lungo, faticoso e non tutti sono disposti a mettersi in gioco per cambiare. Il rischio di recidiva c’è. L’uomo è motivato nell’andare avanti nel percorso quando sa che può perdere la relazione con la compagna e con gli eventuali figli, il cambiamento deve partire da lui in primis. Il maltrattante, seguendo un programma di aiuto, potrà essere in grado di osservarsi in modo critico ed assumersi la responsabilità delle violenze che ha agito. L’obiettivo primario del lavoro con gli uomini autori di violenza è l’assicurare l’incolumità delle donne e dei loro figli.

Solitamente il primo tipo di violenza che scompare dopo aver iniziato il percorso è quella fisica mentre permane la violenza psicologica nei confronti della donna. Con il maltrattante è importante incoraggiare le azioni buone, anticipare le possibili ricadute e prevenire il drop-out (l’uscita dal percorso) così da rinforzare l’adesione al percorso: il drop-out è pericoloso anche per la donna e gli eventuali figli del maltrattante.

Il lavoro con gli autori di violenza può aumentare la sicurezza delle partner (ex partner) e dei minori consentendo risposte più rapide e più informate alle situazioni di rischio. Non esistono interventi privi di rischi ma si cerca di minimizzare il rischio di recidiva. I programmi per autori lavorano in collaborazione con i servizi di supporto per le donne e con gli altri servizi territoriali oltre che con la Magistratura, devono rispettare la Convenzione di Istanbul e forniscono informazioni sugli effetti della violenza aiutando a sviluppare nel maltrattante empatia ed assunzione di responsabilità.

Durante i vari lockdown si è visto un abbassarsi del tasso di femminicidio ma aumentare la violenza, perché?

La violenza di genere non si è fermata con la quarantena per la pandemia, tante sono le problematiche sommerse, le vittime avendo in molti casi il maltrattante in casa, non provano nemmeno a contattare le Associazioni che si occupano di aiutarle.

La casa dovrebbe essere un posto sicuro per non contrarre il Covid19 ma non evita di patire maltrattamenti, per le donne che subiscono violenza ed i bambini sottoposti a quella assistita, le mura che li circondano diventano l’inferno: il non potersi muovere liberamente ha frenato il consumo di alcool e stupefacenti, la prostituzione, il gioco d’azzardo e le dipendenze che alcuni maltrattanti avevano prima della pandemia facendo ricadere la frustrazione e l’astinenza sulle compagne ed eventuali figli richiusi in qualche metro quadrato.

Il consiglio che va caldamente dato alle donne vittime è di chiudersi in una stanza e chiamare il numero del centro/sportello antiviolenza di zona altrimenti il numero nazionale 1522 (disponibile anche tramite chat), oppure il 112 o infine utilizzando le applicazioni “112 Where ARE U” o “YouPol”.

Ringraziamo la Dott.ssa Martelli per averci fornito un punto di vista più tecnico dell'argomento. Un tema delicatissimo e spesso proprio per questo trattato come un tabù, pericoloso e sconveniente da affrontare. Invece come Circolo PD di Monte San Vito non solo crediamo che serva parlarne ma servono anche una serie di azioni/progetti mirati a creare, anche fosse solo nelle coscienze delle persone, quell'identità civile che superi i generi e guardi ad una società nuova, plurale, paritaria e solidale. In questo senso stiamo formando un "Gruppo di Azione" tutto al femminile che tratterà, per il Circolo, diverse tematiche sociali oltre che politiche.

Un abbraccio di genere,

La Redazione