Concludevamo il precedente post su Pio La Torre e Piersanti Mattarella dicendo che erano amici e che li accomunò anche la morte: uccisi per la loro opera di concreta opposizione alla mafia siciliana.
Scrivendo di Piersanti Mattarella, ho provato particolare emozione perché egli si è formato nel Movimento Studenti di Azione Cattolica, dove assunse ruoli nazionali, negli anni 60 del secolo scorso. Il MSAC è la associazione studentesca più antica d’Italia ed anche io ne ho fatto parte. Ecco una testimonianza su quegli anni, da parte del fratello Sergio, attuale Presidente della nostra Repubblica: “Si era formato nella Gioventù di Azione Cattolica. Anzitutto nell’ associazione della GIAC del San Leone, in cui era molto impegnato e di cui divenne presidente, con assistente mons. Renato Spallanzani, un sacerdote che va ricordato. L’associazione aveva un ritmo intenso di attività e Piersanti ne era protagonista con grande capacità di aggregare e coinvolgere e con la convinzione che, per dare un senso alla propria vita, occorre metterla a frutto perché questo vuol dire corrispondere al piano di salvezza di Dio. Con le stesse motivazioni si era impegnato nell’ufficio nazionale del Movimento nazionale studenti della GIAC, dove ha operato, durante gli anni universitari, accanto al delegato nazionale di allora, Alvise Cherubini, popolarissimo tra gli studenti del Movimento e all’Assistente mons. Nebiolo.”
Questo post vuole approfondire il tema dei rapporti tra società civile, partiti, Chiesa e lotta alle mafie, in vista della giornata del 21 marzo, giornata nazionale, come di consueto organizzata dalla associazione Libera contro tutte le mafie.
Dal 1996 Libera legge pubblicamente l’elenco luttuoso degli uccisi dalle mafie. In Sicilia, oltre a La Torre e Mattarella, ricordiamo Boris Giuliano, Nini Cassarà, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Carlo Dalla Chiesa, Cesare Terranova, Lenin Mancuso, don Pino Puglisi, Ciaccio Montalto, Rosario Livatino, Rocco Chinnici, Peppino Impastato, Beppe Montana, gli uomini delle forze dell’ordine, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rita Atria…
Come è indicato dal sito di Libera:
Leggere i nomi delle vittime, scandirli con cura, è un modo per far rivivere quegli uomini e quelle donne, bambini e bambine, per non far morire le idee testimoniate, l’esempio di chi ha combattuto le mafie a viso aperto e non ha ceduto alle minacce e ai ricatti che gli imponevano di derogare dal proprio dovere professionale e civile, ma anche le vite di chi, suo malgrado, si è ritrovato nella traiettoria di una pallottola o vittima di potenti esplosivi diretti ad altri. Storie pulsanti di vita, di passioni, di sacrifici, di amore per il bene comune e di affermazione di diritti e di libertà negate.
Il PCI ebbe sin da subito chiaro il proprio posizionamento contro le mafie. Abbiamo ricordato la figura di Pio La Torre. Se parliamo di Pio La Torre allora parliamo anche della strage di Portella della Ginestra: come giustamente fa un grande amico di La Torre, E. Macaluso, da poco scomparso: donne ed uomini del PCI, sindacalisti che manifestavano per il lavoro vennero uccisi dalle bande di Salvatore Giuliano, il 1 maggio 1947.
La DC, invece, maturò più lentamente questa posizione contro la mafia: non mi riferisco alle dichiarazioni ufficiali, ma alle prassi locali, ove – proprio per sconfiggere il PCI alle elezioni- era necessario avere tanti, troppi voti anche di gruppi economici affaristici e chiacchierati. Per la Democrazia Cristiana il discorso è complesso, anche doloroso. Mi sembra di poter dire che le zone grigie tra mafia e DC siciliana non siano una invenzione dei giornalisti. Ci sono sentenze della magistratura che parlano chiaro! Come è potuto accadere?
Avanzo questa ipotesi: gli eredi del Regno delle due Sicilie che nell’Ottocento mal digerirono la unificazione con il Regno piemontese cercarono di accreditarsi tra la povera gente siciliana come i difensori civici contro le presunte angherie del giovane Regno sabaudo-italiano: tassazione elevata, leva obbligatoria, discriminazione verso i Meridionali. Nel Novecento, la Mafia entrò dentro questa mentalità e la contaminò, creando la doppiezza di due Stati in un medesimo territorio: quando parlo di due Stati, mi riferisco a S. Agostino che diceva che anche una banda di ladroni, se si dava delle regole, diventava una organizzazione politica. E la DC (che culturalmente aveva al proprio interno delle componenti diffidenti verso lo Stato) può aver implicitamente offerto una sponda alla mafia. Questo al netto delle sentenze della Magistratura che hanno riconosciuti esponenti della DC come collusi con la mafia.
La DC è stato un partito antifascista all’origine e che prestissimo, a causa delle decisioni di Jalta nel 1945 di dividere il mondo in blocchi, è diventato anche anticomunista. Un anticomunismo mai autoritario, sempre democratico, certo. Tuttavia, dietro il paravento dell’anticomunismo, possono aver avuto luogo delle scelte locali di oggettiva complicità con la mafia, anch’essa sempre dichiarata anticomunista.