giovedì 30 luglio 2020

1848-1948 “Dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica Italiana”

Parte 1

Un secolo, cent’anni esatti, un tempo breve nel respiro del Mondo, lungo e articolato dalla prospettiva della storia dell’umanità e ancor più di quella italiana.

Nel fatidico anno 1848, l’anno delle rivoluzioni e della primavera dei popoli europei, re Carlo Alberto di Savoia, sovrano del Regno di Sardegna, primo tra i governanti di un’Italia ancora frammentata in molte unità territoriali, alcune delle quali sottoposte all’ingerenza di potenze straniere, emanava una propria Costituzione: lo Statuto Albertino.

1° gennaio 1948: in Italia entrava in vigore la nuova Costituzione di uno stato che, dopo la nera parentesi del regime fascista e la tragedia del secondo conflitto mondiale terminato meno di tre anni prima, sceglieva di mutare struttura ed organizzazione, passando dalla monarchia parlamentare ad un sistema repubblicano a seguito del referendum del 2 giugno 1946.

Questi due momenti sono fondamentali per la storia del nostro Paese. Lo Statuto Albertino, con tutte le sue limitazioni, è stato propedeutico allo sviluppo del periodo risorgimentale e all’unità d’Italia, anche se poi, nel ‘900, non rappresenterà un argine contro l’affermazione ideologica e politica del Fascismo, mentre la Costituzione del 1948 è la concretizzazione della lotta antifascista, dell’anelito alle libertà e ai diritti civili di uno Stato che finalmente diventò davvero democratico dopo gli anni drammatici della dittatura e della guerra.

Caratteristiche dello Statuto Albertino

La Costituzione Albertina era:

1) Ottriata (dal francese “octualier”), cioè concessa dall’alto dal sovrano; pur nascendo in un contesto di profondo fermento sociale per le rivendicazioni civili e patriottiche di una larga parte della popolazione, era il sovrano a offrirla ai propri sudditi. 

2)Flessibile: gli articoli dello Statuto potevano essere modificati tramite leggi ordinarie del Parlamento, quindi attraverso iter legislativi e burocratici relativamente snelli e agevoli. Questo aspetto, se per un verso ha portato all’introduzione di emendamenti in itinere, dall’altro ha permesso che lo Statuto stesso venisse in qualche modo aggirato, se non disatteso in molti punti, con l’avvento del regime dittatoriale di Mussolini e le leggi fascistissime. 

3) Corta, cioè prevede un numero contenuto di articoli e soprattutto pochi diritti.

Per quanto concerne la struttura dello Stato, secondo i dettami dello Statuto Albertino quella sabauda si presentava come una monarchia costituzionale pura: il sovrano, infatti, esercitava allo stesso tempo la funzione di Capo dello Stato e di Capo del Governo, partecipando, quindi, al potere esecutivo, legislativo. Il re aveva anche il diritto di concedere la grazia ai detenuti e nominava i magistrati. Come si evince da ciò, ancora non si può parlare di separazione dei poteri.

Il sistema parlamentare era bicamerale, cioè composto da due camere:

1)Camera dei Deputati, organismo elettivo: i rappresentanti venivano eletti tramite suffragio ristretto. Il diritto di voto era prerogativa di una piccola parte della società del Regno di Sardegna. Soltanto i nobili e i cittadini benestanti percettori di redditi elevati potevano votare. Le donne erano escluse e sarebbero state ammesse a questo fondamentale diritto di cittadinanza soltanto in occasione del referendum del 1946.

2) Regio Senato: era composto da senatori nominati direttamente dal re e la carica era a vita.

Il 1848, come si accennava sopra, fu un anno fondamentale per la storia europea e italiana.

L’emanazione dello Statuto Albertino, in qualche modo, rappresentò il preludio a quella fase del processo risorgimentale che portò all’unità d’Italia.

Tra il 1848 e il 1849 si svolse quella che gli storici chiamano Prima Guerra di Indipendenza. Mentre in molti Paesi d’Europa si stavano verificando sollevazioni popolari, per la verità espressione delle rivendicazioni politiche e sociali della borghesia, re Carlo Alberto ruppe gli indugi e dichiarò guerra all’Impero Asburgico, che controllava il territorio del Lombardo-Veneto.

Il conflitto, nonostante la partecipazione di patrioti di tutta la penisola, non ultimo Giuseppe Garibaldi, non si risolse a favore del Regno di Sardegna e Carlo Alberto, dopo la decisiva sconfitta nella battaglia di Novara, assumendosi la responsabilità del fallimento, abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Il Piemonte restò comunque l’unico Stato della penisola libero da ingerenze straniere e con un ordinamento relativamente liberale. Già l’indirizzo del governo guidato da Massimo D’Azeglio, che peraltro introdusse nuove leggi a limitare i privilegi di clero e aristocrazia, evidenziò come il regno sabaudo fosse avviato ad una stagione di riforme e cambiamenti che vennero poi promossi dall’esecutivo presieduto da Camillo Benso conte di Cavour, politico di estrazione appunto liberale, che si pose l’obiettivo di rendere il regno sabaudo uno Stato moderno e, negli ovvi limiti, di respiro internazionale.

Dopo aver attuato delle riforme interne, tese soprattutto a potenziare le infrastrutture del Paese e a renderne l’economia più competitiva, in politica estera, con la partecipazione alla Guerra di Crimea al fianco di Inghilterra e Francia, Cavour si ritagliò uno spazio nel panorama europeo, dando visibilità internazionale alla questione dell’unità di Italia.

Di lì a poco la Seconda Guerra di Indipendenza, 1859-1861, portò alla formazione del primo nucleo dell’Italia unita.

Dopo la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, 17 marzo 1861, la valenza dello Statuto Albertino fu estesa a tutto il Paese, tuttavia il cammino di armonizzazione delle differenze culturali, sociali e antropologiche della penisola non fu privo di difficoltà, poiché le problematiche da affrontare erano molteplici, dall’analfabetismo alle tante varianti dialettali della penisola, passando per il divario economico tra Nord e Sud.

Nel primo Parlamento del Regno d’Italia si formarono due schieramenti politici principali, la Destra storica, erede del pensiero di Cavour, che governerà il Paese dal 1861 fino al 1876, e la Sinistra storica, i cui rappresentanti si riconoscevano negli ideali progressisti, democratici e mazziniani.

La Destra storica, attraverso l’introduzione di nuove imposte, soprattutto indirette, che gravarono particolarmente sulle fasce più deboli della popolazione, raggiunse il pareggio di bilancio, ma non riuscì a soddisfare la richiesta di riforme sociali, in quanto tale esecutivo era soprattutto espressione della borghesia più agiata e in questo contesto il diritto di voto, su base censitaria, era ancora limitato ad una esigua percentuale di cittadini.

Ad ogni modo, la natura flessibile dello Statuto permise l’introduzione di variazioni al sistema politico, sociale e civile italiano attraverso leggi ordinarie, senza quindi la necessità di dover riscrivere gli articoli dello Statuto medesimo. Non solo, lo stesso ruolo del sovrano nel tempo andò progressivamente virando verso una funzione di natura più istituzionale e rappresentativa che non fattiva. In sostanza, possiamo parlare di evoluzione parlamentare e di crescita di importanza del ruolo esecutivo del Governo.

Per quanto concerne l’evoluzione dello Stato, nonostante gli esecutivi liberali si fossero già posti il problema dell’istruzione, tanto che una prima riforma in tal senso era stata varata nel 1859 (Legge Casati), è con il governo della Sinistra storica che assistiamo a interventi più incisivi in campo sociale, in primis nella lotta contro l’analfabetismo. Nel 1877, infatti, venne approvata la Legge Coppino che rendeva obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare, mentre qualche anno più tardi, nel 1882, il diritto di voto, seppur ancora vincolato al censo, venne esteso ad un numero maggiore di cittadini, dal cui novero, tuttavia, risultavano ancora esclusi analfabeti, nullatenenti e le donne. Questo processo di allargamento della platea degli aventi diritto di voto trovò una più fattiva concretizzazione nel 1912, quando con l’esecutivo Giolitti si stabilì la concessione del suffragio universale maschile senza vincoli di censo né di istruzione.

Negli ultimi anni dell’800, culminati con l’attentato a re Umberto I, a fronte di un forte malcontento popolare, cui contribuì anche l’andamento della politica colonialista in Africa, e delle manifestazioni della classe operaia, gli esecutivi che si susseguirono attuarono, ove più ove meno, una politica spesso repressiva; in ogni caso, pur in un quadro socio-politico agitato e taluni frangenti drammatico, in questo periodo il cammino verso l’allargamento dei diritti civili iniziato con l’emanazione dello Statuto Albertino continuò, come testimoniano la concessione del diritto di sciopero e l’abolizione della pena di morte (Codice Zanardelli) che sarà successivamente ripristinata con l’avvento del regime fascista che, pur mantenendo formalmente lo Statuto medesimo, andrà limitando e soffocando le libertà dei cittadini italiani.

Come poi vedremo, le conseguenze della Grande Guerra, a cui l’Italia partecipò a partire dal 1915, avranno un ruolo determinante nella preparazione di un terreno fertile per l’avvento del Fascismo.

E la storia continua.... 

La Redazione