giovedì 6 agosto 2020

1848-1948 “Dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica Italiana”

Parte II

Al termine del primo conflitto mondiale, l’Italia, pur risultando nel novero dei vincitori, nel corso delle trattative di pace non ottenne completamente i vantaggi vagheggiati all’inizio del conflitto e statuiti dal Patto di Londra, l’accordo a seguito del quale il nostro Paese era uscito dalla Triplice Alleanza per affiancarsi alle potenze dell’Intesa durante la guerra. Mentre in una sorta di revanscismo tutto italiano lo scontento per i mancati riconoscimenti territoriali serpeggiava nemmeno troppo latente tra le fila dei nazionalisti, cioè di coloro che più di altri avevano esercitato pressioni per la partecipazione del regno sabaudo alla Grande Guerra, il Paese andava affrontando problematiche economiche di rilevante portata, con un rincaro notevole dei prezzi dei beni di consumo e uno Stato che aveva visto aumentare vertiginosamente il proprio debito. Il ceto agricolo e la classe operaia vivevano una difficile condizione post-bellica, come dimostrano, ad esempio, gli accadimenti del biennio rosso, riflesso di una contingenza sociale assai critica, che peraltro ebbe a insistere non soltanto sul proletariato ma anche sulla piccola borghesia, non ultima quella impiegatizia. In tale clima di profonda incertezza, con gli ambienti di corte e quelli militari legati ad una visione conservatrice e i partiti moderati timorosi in prima battuta di una deriva socialista del Paese e più ancora di una potenziale rivoluzione di matrice bolscevica, fu gioco relativamente facile per un personaggio come Mussolini raccogliere quelle istanze, a dire il vero non inquadrate in un sistema di pensiero strutturato e coerente, quante magmatiche e dispersive, che si manifestavano come l’espressione del malcontento e del disagio di alcuni segmenti della società italiana di allora.

Facendo leva sugli interessi di alcuni, sulle paure di altri e soprattutto sulla frustrazione di una parte dell’opinione pubblica e della popolazione, Mussolini, vellicando la pancia della gente con una programma politico non ancora ben definito, ma già intriso di becera demagogia, di pomposa retorica e basato sulla stigmatizzazione dell’avversario, cominciò a fare proseliti tra reduci disillusi, nazionalisti delusi e individui non ben allocati nella società o ai margini di essa, raccogliendo progressivamente consenso tra diversi strati della popolazione, il tutto con l’avallo, tacito o consenziente che fosse, degli ambienti di corte e di quelle categoria politiche o sociali, come la nobiltà e l’alta borghesia, che vedevano nell’azione del futuro Duce un’occasione per contrastare la diffusione del Socialismo senza sporcarsi le mani in prima persona e con la convinzione che l’allora nascente movimento fascista si sarebbe risolto in un fenomeno se non effimero, quanto meno manipolabile o destinato ad esaurirsi su sé stesso.

Non possiamo sminuire la valenza paradigmatica di tale dinamica: mai come in questo caso la Storia ci insegna come un contesto economico fragile e un quadro sociale frammentato, se non valutati e affrontati adeguatamente attraverso un approccio democratico e civile avulso da sterili e strumentali contrapposizioni, possano configurarsi come un habitat ideale per la proliferazione di proposte populistiche, finanche inclini a derive antidemocratiche, le quali hanno come fondamenti l’individuazione di un soggetto (istituzioni, categorie sociali, stranieri, immigrati, ecc.) su cui dirottare l’astio e a cui imputare la responsabilità della propria condizione disagiata, la promessa, quasi messianica per certi versi, di un cambiamento generalizzato, millantando questo termine come latore di una panacea dall’effetto esclusivo e garantito, proferendo slogan privi di reale sostanza, ma funzionali ad una narrazione che evidentemente riesce a far presa su quanti non dispongono di mezzi intellettuali adeguati o che non riescono a vagliare con lucidità gli eventi in frangenti di crisi. A tutto questo, inoltre, si aggiunge il sostegno consapevole di chi sa di poter trarre profitto da una congiuntura in cui il disorientamento diffuso è la cifra inevitabile per molti e in ordine alla quale si lascia intendere come il ricorso all’uomo forte possa essere l’unica via percorribile per la risoluzione dei gravi problemi che attanagliano la società.

Ad ogni modo, la Storia e le cronache ci raccontano che dopo la marcia su Roma dell’ottobre del 1922, Mussolini fu incaricato da re Vittorio Emanuele III di formare un nuovo esecutivo, succedendo al primo ministro Facta, il quale aveva invano atteso che il sovrano firmasse il decreto che avrebbe istituito lo stato d’assedio, condizione per poter far intervenire il regio esercito contro le camicie nere e fermare quel progetto dal sapore palesemente eversivo e minatorio. Di lì a breve Mussolini, facendo sempre ricorso a metodi violenti e illegali, utilizzò le prerogative dello Statuto Albertino per sopravanzare lo Statuto medesimo ed esautorare il ruolo del Parlamento, dapprima sfruttato e piegato ai suoi fini, poi ridotto a mero consesso privo di effettivo potere e con la sola e svilente funzione di assecondare la costruzione del regime dittatoriale. Il leader fascista era riuscito ad assicurarsi il controllo dell’istituzione parlamentare dopo l’introduzione di un nuovo sistema elettorale in chiave maggioritaria che era stato varato con la Legge Acerbo del 1923, provvedimento fortemente voluto da Mussolini stesso, ma sostenuto, come dimostrano le risultanze in sede di votazione in aula, da una parte consistente dei parlamentari. Il meccanismo di distribuzione dei seggi prevedeva che lo schieramento che avesse ottenuto almeno il 25% dei consensi, avrebbe ottenuto un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei parlamentari. A prescindere dalla soglia indicata dalla Legge Acerbo, alle elezioni del 1924 il listone fascista si attestò sopra il 60% dei voti. Più che questa legge elettorale furono quindi i brogli e le violenze perpetrate dalle squadracce fasciste, insieme all’interesse di alcuni raggruppamenti politici avversi ai popolari e alla sinistra, a permettere al PNF, Partito Nazionale Fascista, di ottenere una schiacciante maggioranza in quella tornata elettorale e, conseguentemente, quella assoluta in Parlamento. Proprio in tale contesto si consumò il dramma del deputato socialista Giacomo Matteotti, la cui voce civile e coraggiosa denunciò gli abusi fascisti nel nobile tentativo di riportare la dialettica politica nell’alveo di un confronto davvero rispettoso dei valori democratici e civili. Superata l’ondata di indignazione che si era levata tra l’opinione pubblica italiana per la morte di Matteotti e ormai sicuro che nulla avrebbe potuto più minare la sua posizione apicale, Mussolini, in un parossismo di prepotenza oratoria, pronunciò un discorso tanto celebre quanto grave per le implicazioni che, nemmeno troppo velatamente, lasciava presagire e tramite il quale, in nome di uno Stato forte, disvelava alla nazione e al mondo la portata del suo disegno.

Con un Parlamento ormai sotto il pieno controllo fascista e l’impossibilità dell’opposizione di mettere un freno alle propulsioni antidemocratiche di Mussolini, si consumò il passaggio da ciò che ancora restava di uno Stato parlamentare ad uno Stato dittatoriale, un totalitarismo che permeò tutti gli ambiti della vita non solo politica ma anche e soprattutto civile del Paese. Le leggi fascistissime, norme giuridiche emanate tra il 1925 e il 1926, sancirono ineluttabilmente la morte della società democratica e l’avvento del regime del Duce.

Non è questa la sede per disquisire sul ruolo del re, a cui vanno comunque ascritte responsabilità fattive, nell’ascesa al potere del Fascismo, invece è importante ribadire come molti aspetti dello Statuto Albertino che fino a quel momento avevano garantito un certo margine di libertà agli Italiani e avevano altresì permesso riforme di stampo liberale, furono prontamente elusi. Si pensi alla libertà di espressione, alla soppressione di tutti i partiti a eccezione, ovviamente, di quello fascista, alla reintroduzione della pena di morte, alla costruzione di una società totalitaria integralmente controllata e gestita dal regime, all’istituzione dei tribunali speciali per i reati politici fino a giungere alla vergogna delle leggi razziali del 1938 firmate dallo stesso sovrano. In un colpo solo quei diritti civili che si erano affermati progressivamente grazie alla malleabilità dello Statuto venivano cancellati, a preludio di quella ignominiosa sodalità con i partner nazisti propedeutica alla tragedia del secondo conflitto mondiale a cui l’Italia avrebbe preso parte nel 1940.

A conti fatti la flessibilità stessa dello Statuto aveva fatto sì che esso, anche se in pieno vigore e mai abrogato, non venisse più considerato come la Stella Polare della vita legislativa italiana durante il ventennio, ma soltanto un quadro normativo sul quale sovrapporre e imporre i dettami del regime. Quelle stesse maglie larghe che nei decenni precedenti avevano consentito momenti di progresso civile e democratico della nazione italiana furono così integralmente occupate dal totalitarismo fascista praticamente fino al termine della Seconda Guerra Mondiale.

...e la storia continua...

la Redazione

mercoledì 5 agosto 2020

Beirut, dalla deriva economica al dramma !

Beirut, distrutta nello spirito ancor più che nelle mura. La capitale del Libano è stata per anni custode di una lunga storia cosmopolita, oltre che importante centro culturale ed accademico. Ricchezza esposta, sbandierata a simbolo di un avvenente sfarzosità da far impallidire le maggiori capitali europee, era anche per questo denominata la Parigi del Medio Oriente. Gli anni Sessanta hanno rappresentato il periodo del suo massimo sviluppo economico, simbolo di quel mondo in continua rincorsa verso un economia arida, viscida, che porta guadagni, molti, per alcuni ma non produce sviluppo sociale. In altre parole le masse hanno sete e fame di cultura e la coltivano fino a quando essa non è distratta da fame e sete reale, fisica, biologica, in tutta la sua drammaticità.
La crisi economica del Libano affonda le sue radici in decenni di corruzione sistemica e di malgoverno della classe politica al potere dalla fine della guerra civile (1990). I libanesi hanno organizzato proteste di massa per chiedere un cambiamento politico radicale, ma poche delle loro istanze sono state soddisfatte, difatto la situazione economica è costantemente peggiorata dall'autunno scorso.

La crisi economica e sociale che sta attraversando il paese ha raggiunto livelli altissimi nell'ultimo periodo, e le tensioni tra le varie confessioni religiose sono oggi più forti che mai. Siamo inoltre a soli pochi giorni dal verdetto sull'attentato del 2005 in cui fu ucciso il premier Rafiq Hariri, azione per il quale sono sospettati alcuni membri Hezbollah (ma questa è un altra storia.... forse).

Come se non bastasse il Covid, che non attenua la sua diffusione e che si aggiunge a questa forte crisi finanziaria mai vissuta prima, nemmeno durante le guerre, che vede le sue origini in un paese che non produce nulla e importa tutto ciò che consuma.

Paradossale etichettare quella spaventosa esplosione come figlia del fato, Beirut ed i suoi Silos bianchi del porto erano sopravvissuti a 15 anni di guerra civile ed ai bombardamenti israeliani. Una tragedia che merita indagini serie e verità.

È ancora difficile immaginare un bilancio credibile dell'incidente al porto. Notizie contrastanti parlano di "oltre 100 morti" e più di 3000 feriti. Ed è a quelle vittime ed al dramma di quella gente che dobbiamo, a nostro avviso, un mesto silenzio, evitando, almeno in queste prime ore, ogni forma di analisi, da quella più criminale alla semplice e tragica "fatalità".

Verrà il tempo delle analisi e dei colpevoli, in genere sempre tanti ed illusoriamente "presunti", ora è tempo di silenzio, in rispetto del dolore, e di azione, in soccorso di quella gente.

Un abbraccio avvilito,

la Redazione



domenica 2 agosto 2020

Bologna non dimentica, noi non dimentichiamo

A Bologna l’orologio segna le 10:15. 
Un uomo entra nella sala d’attesa della stazione con una grossa valigia. L’appoggia e se ne va. 
Alle 10:25 quella che un istante prima era una stazione è un campo di battaglia. 
23 i kg di esplosivo contenuti in quella valigia. Il boato si è sentito in tutta la città e da ogni angolo di Bologna si può vedere il fungo nero che avvolge per intero l’area, come un mantello.
Per due minuti c’è solo silenzio. Quando la polvere cala su quel che rimane della stazione, è evidente l’orrore: 85 i morti e oltre 200 i feriti. 
La strage di Bologna è l’atto terroristico più grave della nostra Repubblica, uno degli ultimi gravissimi atti della strategia della tensione degli anni di Piombo. Anni in cui l’estrema destra aveva l’obiettivo di provocare lo stato di emergenza e far sentire tutti in pericolo, per minare la democrazia e instaurare un regime autoritario. 
A 40 anni di distanza c’è una verità giudiziaria, la condanna degli esecutori e la chiara ed evidente matrice neofascista dei terroristi. 
I mandanti della strage, però, non sono mai stati individuati. 
Ed è una verità che va cercata e conquistata. Ancora oggi. 
Lo si deve alle vittime, ai loro famigliari, e a chi crede profondamente nella nostra Democrazia antifascista.

"Dalle pagina facebook del Partito Democratico."

Un abbraccio commosso 
La Redazione 

sabato 1 agosto 2020

RECOVERY FUND: SOLO UNA DISPONIBILITÀ DI FONDI O UN CAMBIO DI APPROCCIO?

Europa - Recovery Fund
                                                
Abbiamo girato la domanda al prof. Paolo Sospiro, Direttore EUABOUT BRUXELLES, ricercatore e docente di Economia delle imprese presso l’ Università di Firenze e l’Università Politecnica delle Marche.

“Il percorso europeo è sempre stato a strappi e, spesso, le accelerazioni sono avvenute a causa di imprevisti o di crisi interne o esterne, come nel caso della Brexit. Così come nel caso dell’accelerazione della moneta unica, della quale si è inizia a parlare e ragionare sin dal 1969, ma che poi avviene solo nel 1989 sospinta da rinnovata idea europeista derivante della caduta del muro di Berlino.

Così come nel 1969 l’esigenza di una moneta europea era nata dalla evidenza della crisi del dollaro a causa delle guerre in Corea e in Vietnam. Infatti, all’epoca, non dimentichiamo che tutte le monete erano ancorate al dollaro ed il dollaro era ancorato all’oro. Quindi tutti i paesi erano consapevoli che comprando dollari, potevano ricevere oro dagli Stati Uniti. Ma questo non era sostenibile con gli Stati Uniti che continuavano a stampare moneta per finanziare le guerre in Corea e in Vietnam. Tuttavia l’Europa a 6 dell’epoca non era stata in grado di andare oltre il cosiddetto Serpente Monetario Europeo. A Seguire negli anni ottanta l’ECU. Ma solo la forte volontà della Germania al momento della sua  riunificazione ha fatto sì che si giungesse al Trattato di Maastricht ed alla moneta unica e quindi all’euro.

Attualmente l’assoluta inaffidabilità di Trump e l’uscita del Regno Unito stanno portando alla difesa europea. Al momento si tratta solo di ricerca e sviluppo e acquisti comuni.

Così come le diverse crisi che si stanno susseguendo (l’attacco alle torri gemelle del 2001, la crisi economica del 2008, la crisi migratoria del 2015 ed infine il COVID-19) stanno costringendo i paesi membri, sempre più, a pensare ed agire in un’ottica comune in quanto le sfide davanti a loro sono troppo importanti per poterle affrontare da soli. Compresa la Germania che ne è ancora più consapevole.

Credo che quello del Recovery Found  sia un ulteriore passo avanti verso un maggiore coordinamento, da una parte, e una maggiore cessione di sovranità, dall’altra, da parte dei paesi membri.

Se tutto questo possa significare che presto ci saranno gli Stati Uniti d’Europa o un maggiore sistema Intergovernativo, credo che nessuno lo sappia perché i cittadini europei non sono ancora pronti a prendere decisioni di questa portata.

Un fatto è certo, nonostante la scarsa fiducia che emerge di giorno in giorno tra i paesi, e specie in alcuni paesi, gli stati membri trovano sempre una soluzione per stare insieme e superare le crisi che si trovano davanti.

Quello che possiamo dire è che il percorso europeo non è altro che superare le crisi insieme per evitare che il rischio di una guerra (commerciale, diplomatica o militare) sia sempre superato. Garantendo, allo stesso tempo, uno standard di vita sempre più elevato ai cittadini europei. Questo approccio e questi due obiettivi permettono di coniugare passato, presente e futuro e di coniugare gli interessi delle generazioni “passate” degli adulti di oggi e dei giovani di oggi e delle future generazioni.

A conti fatti, pensando solo agli ultimi 20 anni, nei quali nel mondo è accaduto di tutto, quello che possiamo sostenere è che il progetto europeo, per quanto criticale, lento, incompleto e sempre in ritardo abbia comunque garantito sempre una certa sicurezza e benessere nonostante, appunto, il mondo sia diventato un posto complicato. Basti pensare all’ascesa economica e politica della Cina, all’avvento dell’India, ai problemi degli Stati Uniti, alla Brexit, al fenomeno migratorio e tanto altro. Insomma, il processo europeo, credo che permetta ai paesi europei di avere una sorta di cuscino che attutisce e ritarda gli effetti degli avvenimenti che avvengono nel mondo. Oggi è fondamentale, quanto meno fino a quando il mondo non troverà un nuovo equilibrio."

 

Prof. Paolo Sospiro

giovedì 30 luglio 2020

1848-1948 “Dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica Italiana”

Parte 1

Un secolo, cent’anni esatti, un tempo breve nel respiro del Mondo, lungo e articolato dalla prospettiva della storia dell’umanità e ancor più di quella italiana.

Nel fatidico anno 1848, l’anno delle rivoluzioni e della primavera dei popoli europei, re Carlo Alberto di Savoia, sovrano del Regno di Sardegna, primo tra i governanti di un’Italia ancora frammentata in molte unità territoriali, alcune delle quali sottoposte all’ingerenza di potenze straniere, emanava una propria Costituzione: lo Statuto Albertino.

1° gennaio 1948: in Italia entrava in vigore la nuova Costituzione di uno stato che, dopo la nera parentesi del regime fascista e la tragedia del secondo conflitto mondiale terminato meno di tre anni prima, sceglieva di mutare struttura ed organizzazione, passando dalla monarchia parlamentare ad un sistema repubblicano a seguito del referendum del 2 giugno 1946.

Questi due momenti sono fondamentali per la storia del nostro Paese. Lo Statuto Albertino, con tutte le sue limitazioni, è stato propedeutico allo sviluppo del periodo risorgimentale e all’unità d’Italia, anche se poi, nel ‘900, non rappresenterà un argine contro l’affermazione ideologica e politica del Fascismo, mentre la Costituzione del 1948 è la concretizzazione della lotta antifascista, dell’anelito alle libertà e ai diritti civili di uno Stato che finalmente diventò davvero democratico dopo gli anni drammatici della dittatura e della guerra.

Caratteristiche dello Statuto Albertino

La Costituzione Albertina era:

1) Ottriata (dal francese “octualier”), cioè concessa dall’alto dal sovrano; pur nascendo in un contesto di profondo fermento sociale per le rivendicazioni civili e patriottiche di una larga parte della popolazione, era il sovrano a offrirla ai propri sudditi. 

2)Flessibile: gli articoli dello Statuto potevano essere modificati tramite leggi ordinarie del Parlamento, quindi attraverso iter legislativi e burocratici relativamente snelli e agevoli. Questo aspetto, se per un verso ha portato all’introduzione di emendamenti in itinere, dall’altro ha permesso che lo Statuto stesso venisse in qualche modo aggirato, se non disatteso in molti punti, con l’avvento del regime dittatoriale di Mussolini e le leggi fascistissime. 

3) Corta, cioè prevede un numero contenuto di articoli e soprattutto pochi diritti.

Per quanto concerne la struttura dello Stato, secondo i dettami dello Statuto Albertino quella sabauda si presentava come una monarchia costituzionale pura: il sovrano, infatti, esercitava allo stesso tempo la funzione di Capo dello Stato e di Capo del Governo, partecipando, quindi, al potere esecutivo, legislativo. Il re aveva anche il diritto di concedere la grazia ai detenuti e nominava i magistrati. Come si evince da ciò, ancora non si può parlare di separazione dei poteri.

Il sistema parlamentare era bicamerale, cioè composto da due camere:

1)Camera dei Deputati, organismo elettivo: i rappresentanti venivano eletti tramite suffragio ristretto. Il diritto di voto era prerogativa di una piccola parte della società del Regno di Sardegna. Soltanto i nobili e i cittadini benestanti percettori di redditi elevati potevano votare. Le donne erano escluse e sarebbero state ammesse a questo fondamentale diritto di cittadinanza soltanto in occasione del referendum del 1946.

2) Regio Senato: era composto da senatori nominati direttamente dal re e la carica era a vita.

Il 1848, come si accennava sopra, fu un anno fondamentale per la storia europea e italiana.

L’emanazione dello Statuto Albertino, in qualche modo, rappresentò il preludio a quella fase del processo risorgimentale che portò all’unità d’Italia.

Tra il 1848 e il 1849 si svolse quella che gli storici chiamano Prima Guerra di Indipendenza. Mentre in molti Paesi d’Europa si stavano verificando sollevazioni popolari, per la verità espressione delle rivendicazioni politiche e sociali della borghesia, re Carlo Alberto ruppe gli indugi e dichiarò guerra all’Impero Asburgico, che controllava il territorio del Lombardo-Veneto.

Il conflitto, nonostante la partecipazione di patrioti di tutta la penisola, non ultimo Giuseppe Garibaldi, non si risolse a favore del Regno di Sardegna e Carlo Alberto, dopo la decisiva sconfitta nella battaglia di Novara, assumendosi la responsabilità del fallimento, abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Il Piemonte restò comunque l’unico Stato della penisola libero da ingerenze straniere e con un ordinamento relativamente liberale. Già l’indirizzo del governo guidato da Massimo D’Azeglio, che peraltro introdusse nuove leggi a limitare i privilegi di clero e aristocrazia, evidenziò come il regno sabaudo fosse avviato ad una stagione di riforme e cambiamenti che vennero poi promossi dall’esecutivo presieduto da Camillo Benso conte di Cavour, politico di estrazione appunto liberale, che si pose l’obiettivo di rendere il regno sabaudo uno Stato moderno e, negli ovvi limiti, di respiro internazionale.

Dopo aver attuato delle riforme interne, tese soprattutto a potenziare le infrastrutture del Paese e a renderne l’economia più competitiva, in politica estera, con la partecipazione alla Guerra di Crimea al fianco di Inghilterra e Francia, Cavour si ritagliò uno spazio nel panorama europeo, dando visibilità internazionale alla questione dell’unità di Italia.

Di lì a poco la Seconda Guerra di Indipendenza, 1859-1861, portò alla formazione del primo nucleo dell’Italia unita.

Dopo la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, 17 marzo 1861, la valenza dello Statuto Albertino fu estesa a tutto il Paese, tuttavia il cammino di armonizzazione delle differenze culturali, sociali e antropologiche della penisola non fu privo di difficoltà, poiché le problematiche da affrontare erano molteplici, dall’analfabetismo alle tante varianti dialettali della penisola, passando per il divario economico tra Nord e Sud.

Nel primo Parlamento del Regno d’Italia si formarono due schieramenti politici principali, la Destra storica, erede del pensiero di Cavour, che governerà il Paese dal 1861 fino al 1876, e la Sinistra storica, i cui rappresentanti si riconoscevano negli ideali progressisti, democratici e mazziniani.

La Destra storica, attraverso l’introduzione di nuove imposte, soprattutto indirette, che gravarono particolarmente sulle fasce più deboli della popolazione, raggiunse il pareggio di bilancio, ma non riuscì a soddisfare la richiesta di riforme sociali, in quanto tale esecutivo era soprattutto espressione della borghesia più agiata e in questo contesto il diritto di voto, su base censitaria, era ancora limitato ad una esigua percentuale di cittadini.

Ad ogni modo, la natura flessibile dello Statuto permise l’introduzione di variazioni al sistema politico, sociale e civile italiano attraverso leggi ordinarie, senza quindi la necessità di dover riscrivere gli articoli dello Statuto medesimo. Non solo, lo stesso ruolo del sovrano nel tempo andò progressivamente virando verso una funzione di natura più istituzionale e rappresentativa che non fattiva. In sostanza, possiamo parlare di evoluzione parlamentare e di crescita di importanza del ruolo esecutivo del Governo.

Per quanto concerne l’evoluzione dello Stato, nonostante gli esecutivi liberali si fossero già posti il problema dell’istruzione, tanto che una prima riforma in tal senso era stata varata nel 1859 (Legge Casati), è con il governo della Sinistra storica che assistiamo a interventi più incisivi in campo sociale, in primis nella lotta contro l’analfabetismo. Nel 1877, infatti, venne approvata la Legge Coppino che rendeva obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare, mentre qualche anno più tardi, nel 1882, il diritto di voto, seppur ancora vincolato al censo, venne esteso ad un numero maggiore di cittadini, dal cui novero, tuttavia, risultavano ancora esclusi analfabeti, nullatenenti e le donne. Questo processo di allargamento della platea degli aventi diritto di voto trovò una più fattiva concretizzazione nel 1912, quando con l’esecutivo Giolitti si stabilì la concessione del suffragio universale maschile senza vincoli di censo né di istruzione.

Negli ultimi anni dell’800, culminati con l’attentato a re Umberto I, a fronte di un forte malcontento popolare, cui contribuì anche l’andamento della politica colonialista in Africa, e delle manifestazioni della classe operaia, gli esecutivi che si susseguirono attuarono, ove più ove meno, una politica spesso repressiva; in ogni caso, pur in un quadro socio-politico agitato e taluni frangenti drammatico, in questo periodo il cammino verso l’allargamento dei diritti civili iniziato con l’emanazione dello Statuto Albertino continuò, come testimoniano la concessione del diritto di sciopero e l’abolizione della pena di morte (Codice Zanardelli) che sarà successivamente ripristinata con l’avvento del regime fascista che, pur mantenendo formalmente lo Statuto medesimo, andrà limitando e soffocando le libertà dei cittadini italiani.

Come poi vedremo, le conseguenze della Grande Guerra, a cui l’Italia partecipò a partire dal 1915, avranno un ruolo determinante nella preparazione di un terreno fertile per l’avvento del Fascismo.

E la storia continua.... 

La Redazione