domenica 25 luglio 2021

Contributi per la Migliore Politica Oggi, come stanno i sindaci?

Nel post precedente ci siamo soffermati sul ricordo della sfida elettorale del 1956 tra DC e PCI a Bologna,  tra i candidati  Giuseppe Dossetti e Giuseppe Dozza. Continuiamo ad occuparci del ruolo dei sindaci, delle difficoltà che incontrano, delle sfide in arrivo…

Nei primi cinquant’anni circa della nostra Repubblica, i candidati in Parlamento oppure nei Consigli regionali provenivano dai partiti e dalle loro "scuole di formazione interna". A partire dagli anni 90 del secolo scorso, un bacino importantissimo da cui trarre la nostra classe dirigente nazionale sono diventati sindaci e, più in generale, gli amministratori locali. Questo forse anche a causa della legge 25 marzo 1993, n. 81 che introdusse la elezione diretta dei sindaci (prima i sindaci venivano eletti dai consigli comunali). 

Proprio negli anni Novanta, a seguito di questa riforma elettorale, ricordiamo la nascita di una stagione importante, ricca di passioni politiche a livello comunale che portarono ad un nuovo ruolo dei sindaci  in diverse città: a  Roma ( F. Rutelli), a Torino (V. Castellani), a Napoli (A. Bassolino), a Reggio Calabria (I. Falcomatà), a Venezia (M. Cacciari), a Milano (M. Formentini), a Palermo (L. Orlando), etc… Ai sindaci di quel decennio si collegò in un certo senso una nuova primavera democratica.  Per tutti, cito il cosiddetto “rinascimento” di Napoli e la riqualificazione del tessuto socio-urbanistico…

Questo…trent’anni fa. Ma oggi, come stanno i sindaci? Che ruolo stanno avendo? Il loro ruolo è più facile o più difficile di 20 anni fa? Dove si incontrano le maggiori difficoltà? Invece, quali sono gli ambiti di maggior innovazione? 

Ho rivolto queste domande a Gianni, un mio amico padovano che da decenni studia i fenomeni partecipativi locali, in tema di società e innovazione e che è impegnato in Argomenti2000 (e non solo).  Egli mi scrive così,  sul tema del ruolo dei sindaci oggi: “ In mesi recenti ho visto all'opera alcuni sindaci, soprattutto di comunità di non grandi dimensioni. Mi sembra che siano soprattutto "tesi" a far bene, a svolgere "con efficacia" il mandato ricevuto. Certo. NON sempre sono aiutati dalla formazione pregressa, o dal contesto "esigente", o dal ruolo - differenziato - dei partiti”.

Proprio sul legame tra partiti, comunità locali e ruolo dei sindaci si è svolto un recente incontro organizzato a Bologna da Repubblica delle idee.

Il  tale sede, il Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, Antonio Decaro, ha chiesto alle istituzioni nazionali di far contare di più i sindaci. “Io non credo sia il tempo del partito dei sindaci, ma i sindaci possono rappresentare il Paese in una dimensione nazionale”, ha dichiarato a Repubblica il 12 luglio scorso. Proprio Repubblica aveva organizzato il giorno prima a Bologna un incontro su questo tema, con la attuale sindaca di Crema Stefania Bonaldi e con il candidato PD a Sindaco di Bologna, Matteo Lepore. 

Il moderatore dell’incontro è stato il giornalista Stefano Folli, che ha messo il dito in una piaga: politici e sindaci appartengono a mondi che stanno diventando distanti, a mondi che non si parlano abbastanza…I relatori hanno espresso un disagio: i sindaci sono responsabili di troppe cose: dal marciapiede sconnesso che fa inciampare un cittadino alle dita di una bimba, schiacciate dalla porta antincendio di un asilo (fatto realmente accaduto a Crema). Proprio la sindaca di Crema ha sottolineato la peculiarità di chi è amministratore:  i sindaci sono immersi nella realtà, costretti alla concretezza, abituati alla compassione. 

Conclusioni:

Per alcuni osservatori gli 8 mila sindaci vivono una fase di stanchezza, perché amministrare è sempre più complesso, i cittadini sono sempre più esigenti o arrabbiati (v. la pervasività dei social-media ed il controllo assiduo dei cittadini nei confronti dell’operato dei sindaci), i vincoli economico-finanziari di Roma sono forse eccessivi ed i bilanci comunali sono sempre più esigui…
Ma - come dimostrano le testimonianze raccolte recentemente da Repubblica - i sindaci rappresentano un pilastro fondamentale della democrazia repubblicana e come tale il loro ruolo va apprezzato, tanto più che dal PNRR arriveranno ingenti risorse da investire per migliorare le situazioni territoriali in tema di ambiente, riqualificazione urbana, coesione sociale…
Possiamo concludere dicendo che essere sindaco oggi è più complicato di un tempo, ma - in una logica di rete - i sindaci rimangono  protagonisti decisivi, insieme alle istituzioni nazionali e regionali, alle forme associate della società civile, ai cittadini ed alle cittadine attive sui social e nei contesti locali...

Per approfondire:

Ecco il lini alla videoregistrazione dell’incontro di Repubblica delle idee
Rep Idee 2021 - Bologna e il fronte dei sindaci: Lepore, Bonaldi e Decaro - la Repubblica

Sul rinascimento napoletanto
Napoli ieri: il rinascimento napoletano, “passo dopo passo”… (napoliflash24.it)

La  prof.ssa Francesca Gelli ha scritto un libro sulla democrazia locale, tra rappresentanza e partecipazione

La democrazia locale tra rappresentanza e partecipazione - FrancoAngeli.

Giandiego Carastro




mercoledì 23 giugno 2021

CONTRIBUTI PER UNA MIGLIORE POLITICA GLI ANNI 50

GIUSEPPE DOZZA E GIUSEPPE DOSSETTI

Il post di oggi è dedicato a due figure del PCI e della DC che si scontrarono politicamente, a Bologna: Giuseppe Dozza per il PCI e Giuseppe Dossetti per la DC.  Lo scontro fu elettorale ed avvenne negli anni 50, quando anche in Italia era scesa la “cortina di ferro”, cioè la netta divisione, anche sociale, tra socialcomunisti, da un lato ( egati al patto di Varsavia e quindi a Mosca) e promotori del cosiddetto mondo libero, dall’altro (atlantisti legati a Washington). Per una coincidenza, concludo questo post quando non si sono ancora  concluse le primarie comunali del centrosinistra che si terranno il 20 giugno anche a Bologna. L’ex Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi,  le ha definite “primarie al sangue”, per le ruvidezze che si sarebbero scambiati i candidati di Italia Viva, Conti e del PD, Lepore.  Ruvidezze che sono poca cosa rispetto alle elezioni del 1956, in cui si sfidarono PCI e DC, proprio con Dozza e Dossetti candidati!!! 

Oggi facciamo fatica a capire il clima “pesante” che si respirava nella società italiana. Ci provo a descriverlo, facendo ricorso ad un motivetto famosissimo degli anni 80, quindi trent’anni dopo le elezioni che riguardarono Dozza e Dossetti. Il motivo è “Vamos a la playa”, dei Righeira. Ad un certo punto, si parla di una bomba che scoppia, che rilascia un vento radioattivo, il quale a sua volta spettina i capelli dei bagnanti…

Vamos a la playa

Todos con sombrero

El viento radiactivo

Despeina los cabellos

Il cantante Johnson Righeira, intervistato dal critico musicale Red Ronnie, spiegò che il tema  della guerra nucleare era nell’aria. Si temeva uno scontro radioattivo tra USA ed URSS. Questo negli anni 80. Figuriamoci il clima negli anni 50…figuriamoci la sfida del 1956, sessantacinque anni fa…

Giuseppe Dozza

Biografia

Nasce a Bologna nel novembre 1901, e qui muore nel dicembre 1974. Fu membro del Comitato di Liberazione Nazionale di Bologna con Ilio Barontini ed Giuseppe Alberganti.

Impegni politici

Per 25 anni fu Sindaco di Bologna, contribuendo alla diffusione del “mito” del comunismo emiliano-romagnolo, efficiente nella gestione amministrativa e vicino alle masse operaie e contadine.

Giuseppe Dossetti

Biografia
Nasce a Genova nel Febbraio 1913, muore a Oliveto di Monte Veglio nel dicembre del 1996, 25 anni fa. Da adolescente, fu impegnato negli studenti di Azione Cattolica e con il sacerdote don Torreggiani visitò le periferie della sua città, stando vicino in particolare ai carcerati ed al popolo Rom. Fu un affermato docente di diritto ecclesiastico.
Impegni politici
Fu partigiano, poi membro della Costituente dal 1946 al 1947: dialogò direttamente con il Segretario generale del PCI, Palmiro Togliatti per sottolineare quanto c’era in comune tra masse cattoliche e masse comuniste, con l’ obiettivo di rifondare i legami sociali dopo gli anni della dittatura fascio-monarchica. Dossetti poi scelse la via del monachesimo, si impegnò nel riconciliare la Chiesa cattolica con la Modernità, nel famoso Concilio Vaticano II su cui ho scritto qualche mese fa…Alla fine della sua vita, il 25 aprile 1994, fondò i Comitati per la difesa della Costituzione, temendo che le destre italiane di fine Novecento avessero dentro di sé una potenza liberista e mercatista, fortemente antipolitica e quindi anticostituzionale.
Le elezioni comunali del 1956
Come ricorda Paolo Tirelli sul sito della enciclopedia Treccani: le consultazioni, svoltesi il 27-28 maggio del 1956 con il sistema proporzionale, premiarono  la lista "Due torri" con il 45,2 per cento dei voti e 29 seggi e il Partito socialista italiano (PSI) con il 7,4 per cento dei voti e 4 seggi. Le preferenze per Dozza. furono 31.000, mentre Dossetti ne ricevette solo 13.000 (la DC aveva avuto il 27,7 per cento dei voti e 17 seggi). La nuova Assemblea si riunì il 30 giugno e  Dozza, prima di essere confermato sindaco con 31 voti e 18 schede bianche su 56 presenti, rivolse un misurato discorso ai consiglieri, in cui propose, cessate le polemiche della contesa elettorale, una seconda collaborazione" alle forze politiche centriste. Ma la battaglia politica fu aspra. Il candidato del PCI, Dozza, in conferenza stampa  pre-elettorale, espresse  il timore che una vittoria di Dossetti potesse preludere alla rinascita dell'antico regime delle legazioni e potesse inaugurare un periodo di "corruzione politica e morale" (v. P. Tirelli sul sito Internet della Enciclopedia Treccanti). Dossetti sarebbe stato un candidato straniero, imposto dal Vescovo di Bologna Mons. Lercaro…e stiamo parlando di Dossetti, partigiano e padre Costituente!!!  
Tuttavia, Dossetti, seppur politicamente sconfitto, vinse, culturalmente. Infatti, Dossetti, affiancato dal sociologo Achille Ardigò (forse il Gramsci cattolico…ma sul ruolo degli intellettuali dedicheremo un altro post, quando parleremo di don Sturzo e del pensatore de I quaderni dal carcere), elaborò un percorso di ascolto minuzioso di quartieri e rioni, dando vita al famoso “Libro Bianco” che fece scuola nei decenni successivi in tantissimi comuni italiani. Dossetti nel suo programma  aveva proposto i Consigli di quartiere, come originale strutture di autogoverno decentrato.
… Il prossimo post sarà dedicato ad un approfondimento sul ruolo dei sindaci nella storia della Repubblica, con particolare attenzione alla parabola iniziata negli anni 90 con la elezione diretta dei sindaci fino ad arrivare alla difficoltà di essere sindaco oggi, come recenti fatti di cronaca descrivono.

Link per approfondire:
Don Giuseppe Dossetti: breve biografia, articoli e materiali (circolidossetti.it)
DOSSETTI, Giusepppe in "Enciclopedia Italiana" (treccani.it)
1994 - Giuseppe Dossetti e i Comitati per la difesa della Costituzione - Cronologia di Bologna dal 1796 a oggi | Biblioteca Salaborsa
Giuseppe Dossetti e il Libro bianco su Bologna - Achille Ardigò - Libro - EDB - Fede e storia | IBS
DOZZA, Giuseppe in "Dizionario Biografico" (treccani.it)
Giuseppe Dozza. La rinascita della città Libro - Libraccio.it
GIUSEPPE DOZZA - BIOGRAFIA BREVE DI UN SINDACO (cronologia.it)

Giandiego Carastro

domenica 13 giugno 2021

Contributi per una Migliore Politica: Longo - Fanfani

Luigi Longo ed Amintore Fanfani

Grazie alle lettrici ed ai lettori che ci stanno seguendo, ormai da diversi mesi, in questo cammino di valorizzazione della memoria storica di figure che hanno fatto la storia, impegnandosi nel PCI e nella DC. I precedenti post sono stati dedicati a ripercorre l’insegnamento di Achille Occhetto e Mino Martinazzoli, di Pio La Torre e Piersanti Mattarella, di Nilde Iotti e Tina Anselmi ed infine di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro. Da queste ultime  riflessioni è nata un inedito colloquio tra il segretario del PD di Monte San Vito ed il portavoce del PD di Villa San Giovanni (Reggio Calabria). L’ ing. Matteo Sticozzi ed il dott. Enzo Musolino hanno aiutato ad attualizzare il pensiero di Berlinguer e Moro. Dopo gli anni 70, entriamo, a ritroso, negli anni 60.

I protagonisti  che abbiamo scelto, sono:  per il PCI, il Segretario generale Luigi Longo e, per la Democrazia Cristiana, Amintore Fanfani. Si tratta di anni splendidi e difficili: si iniziano a vedere le riforme sociali impostate dal primo Governo di Centrosinistra in Italia, ma anche iniziano gli squilibri  tra Nord e Sud con le migliaia di giovani lavoratori e lavoratrici che da Puglia, Calabria, Campania, Sicilia, Basilicata si trasferiscono a Milano, Torino, Genova, spesso vivendo come cittadini di serie B. Sono gli anni del Boom economico, ma anche delle proteste dei giovani che non si accontentano più delle tradizioni famigliari ed a cui vanno strette le vie di uno sviluppo solo materiale e monetario (la protesta è contro le tre M; Moglie, Macchina, Mestiere).

Dopo questa premessa, ecco le due figure di riferimento:

Luigi Longo-PCI

Dati biografici: nato a Fubine Monferrato (Alessandria) nel 1900, morto a Roma nel 1980. Partecipò alla Guerra di Spagna contro il regime di Franco.  Durante la II Guerra mondiale fu il capo politico-militare delle formazioni partigiane comuniste.

Incarichi pubblici: Fu segretario generale del Partito Comunista Italiano dal 1964 al 1972. Longo ebbe il non facile compito di succedere al Migliore,  cioè a Palmiro Togliatti, morto nel 1964. Longo era soprannominato “Comandante Gallo” e venne apprezzato dai militanti per la sua modestia, oltreché per i suoi trascorsi in Spagna e durante la Resistenza.  Provò a capire i giovani e gli studenti che diedero vita al movimento del 68, in Italia, ma non venne seguito dal suo stesso partito: scrisse un articolo di apertura ai giovani su “Rinascita”, ma diversi esponenti del PCI (tra i quali Amendola) ne furono contrariati. Proprio nel 68, fu colpito da ictus ed al suo fianco gli venne affiancato un giovane Enrico Berlinguer.

Amintore Fanfani- DC

Dati biografici: nasce a Pieve Santo Stefano nel 1908, muore a Roma nel 1999. Fanfani  insieme ad Aldo Moro è definito come “il cavallo di razza” dello Scudo crociato. Fu un economista di fama internazionale ed a lui si debbono diverse riforme sociali come il Piano Casa, attuato quando Fanfani fu Ministro del lavoro. Ebbe una carriera politica ambivalente, con alti e bassi, ma sempre con ruoli di rilevo..

Agli inizi, fu Segretario della DC, sancendo la distinzione tra strutture di partito e strutture ecclesiali, para-politiche, quali i Comitati Civici fondati da Luigi Gedda in funzione anticomunista. Di fatto, la Segreteria di Fanfani “laicizzò” la DC distanziandola dagli apparati delle parrocchie, dell’Azione Cattolica, dei Comitati Civici. Questo avvenne nel 1955,circa. La carriera politica di Fanfani, si concluse, di fatto, negli anni 70, con la sconfitta del referendum contro il divorzio, che egli caldeggiò a spada tratta, questa volta con toni zelanti, forse poco coerenti con la innovazione di laicità dei suoi inizi. Fu cinque volte Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il prossimo post sarà dedicato al tema degli enti locali, delle riforme attuate dai consigli comunali, a partire dal ricordo di una “storica” sfida elettorale, quella tra i due Giuseppe: Dozza e Dossetti, candidati a sindaco di Bologna negli anni 50.

Link utili:

Luigi Longo - segretario dal 1964 al 1972 (dellarepubblica.it)

Luigi Longo, un leader dimenticato che allontanò il Pci dal "mito sovietico" - Strisciarossa

Fanfani, Amintore nell'Enciclopedia Treccani

LONGO, Luigi in "Dizionario Biografico" (treccani.it)

Fanfani, Amintore in "Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia" (treccani.it)

Sessantotto in "Enciclopedia dei ragazzi" (treccani.it)

Meridionale, questione in "Enciclopedia del Novecento" (treccani.it)

Giandiego Carastro


martedì 1 giugno 2021

Il 2 Giugno, una lezione di Democrazia

Ci preme partire dal quel primo 2 giugno per riproporne il valore e lo spirito. Parliamo del 2 giugno del 1946, la guerra era finita da poco (25 aprile del 1945). L’Italia provava faticosamente a riprendere il suo cammino democratico, interrotto da 20 nefasti anni di fascismo, nei fatti però eravamo ancora una monarchia, quindi si chiamarono gli elettori, e per la prima storica volta a livello nazionale le donne, a votare se rimanere monarchia o diventare Repubblica. Una cosa molto interessante è che, al giorno d’oggi molti si sono convinti che la democrazia consista nel “votare” e, nel momento in cui si vota, chi vince “comanda”, per fortuna non è cosi (o almeno non è così che dovrebbe funzionare). La democrazia è un insieme complesso e delicato di regole dove, naturalmente conta il voto degli elettori, e ci mancherebbe, non sarebbe altrimenti definibile demo-crazia ovvero governo del popolo, a contare sono soprattutto quelle, a qualcuno indigeste, regole della democrazia fatte di pesi e contrappesi, per dirla con semplicità conta molto la “saggezza” e difatti cosa successe il 2 giugno del’46 e immediatamente dopo? Vinse la Repubblica, non in modo assoluto, ad esempio il sud votò in maggioranza per la monarchia, ma nell’insieme l’Italia scelse la via della Repubblica ed a presiedere e guidare come primo capo dello Stato, ricordiamo che fino a quel momento era stato il capo del Governo, cioè Alcide De Gasperi, fu chiamato Enrico De Nicola, guarda caso un monarchico. Perché la saggezza consiste anche in questo, il vincitore non deve mai stravincere, perché quando stravinci poi, in un modo o nell’altro finisci per fare del male al Paese e al suo Popolo. Da qui partì quindi l’attività dell’Assemblea Costituente con la scrittura della “Costituzione della Repubblica Italiana” emanata il 1 gennaio 1948 ed il 18 aprile del’48 si andò per la prima volta a votare per le elezioni legislative, con elezione del Parlamento e del Senato, della nuova Repubblica Italiana che elesse cosi il primo Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, anche lui in realtà di tradizione monarchica. Le elezioni del 18 aprile furono vinte dalla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi che poteva cosi disporre della maggioranza assoluta ma scelse di governare in coalizione perché riteneva pericolosa la concentrazione del potere in un solo partito. Queste sono le “lezioni nascoste”, ma vere, della nostra storia e cioè, in un paese che veniva da una profondissima guerra civile bisognava stare sempre molto attenti alla concentrazione dei poteri. Le Costituzioni delle Repubbliche che funzionano prevedono al loro interno necessariamente pesi e contrappesi, sistemi che hanno la funzione di evitare che chi vince le elezioni “Comandi”. Chi vince le elezioni, in democrazia, “non comanda” ma “governa” che è una cosa completamente diversa. In Italia i pesi ed i contrappesi ogni tanto ce li perdiamo, ci facciamo un po prendere la mano dal potere, forse agevolati da una profonda incapacità di fare sintesi oltre che di ascolto. Dobbiamo “insieme” trovare la forza e lo spirito di riscoprire la bellezza politica della “saggezza” e con essa riavviare una ritrovata Italia. 

Di seguito un articolo molto interessante di Luigi De Angelis tratto da lanotiziacondivisa.it sull’importanza di quella scelta (popolare) verso la Repubblica, la sue motivazioni e la sua “irreversibilità”:

>La Repubblica, la nostra identità e il nostro futuro.

“La Repubblica, specchio dei suoi cittadini e, insieme, baluardo delle loro libertà, deve sempre sapere rinnovarsi, dotarsi di strumenti più efficaci e trasparenti, riconquistarne la piena fiducia, indebolita in anni di crisi economica, di minor fertilità del circuito democratico. La Repubblica resta lo spazio vitale. Resta un ponte. Verso l’Europa, che è il nostro destino e la nostra opportunità nel mondo globale. Verso uno sviluppo sostenibile, che deve legare insieme la qualità italiana, una migliore competitività del sistema e una maggiore equità sociale. Verso il futuro, per dar sicurezza alle speranze dei nostri giovani.

Non saper guardare oltre il presente costituisce uno dei limiti più grandi del nostro tempo. La scelta repubblicana fu, allora, il risultato di uno sguardo lungo. Sono convinto che disponiamo di tutte le energie per progettare insieme un futuro migliore”. (Sergio Mattarella, “La scelta repubblicana nella ricostruzione della democrazia italiana”, in “Italianieuropei”, n. 2-3/2016).

Il 2 giugno 1946 è la data simbolo della svolta democratica, segna l’inizio di una nuova epoca, a cui l’Italia giunge passando attraverso l’oscura notte della dittatura fascista che per vent’anni aveva negato libertà e diritti soggettivi, dell’occupazione tedesca, delle stragi nazifasciste, della guerra civile e dei bombardamenti. Il referendum tra Monarchia e Repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente rappresentano uno spartiacque, una cesura netta sotto il profilo costituzionale rispetto all’esperienza del Regno di Italia, in cui il parlamento, il governo e le corti di giustizia traevano la propria legittimazione all’esercizio dei poteri loro concessi da una costituzione octroyée, elargita ai sudditi con un atto unilaterale del sovrano assoluto, nella cui persona continuava comunque a risiedere l’intera autorità.

Quel giorno i cittadini italiani si riappropriarono della titolarità della sovranità, auto-defininendosi e auto-rappresentandosi come unità politica consapevole di esistere e di avere capacità di autogoverno, la esercitarono con il voto e sancirono non soltanto la fine della monarchia, ma la nascita dello stato democratico, la Repubblica, un nuovo ordinamento che trova la sua fonte di legittimazione nell’autodeterminazione, nella lotta partigiana di liberazione, nel sacrificio degli uomini e delle donne, di ogni credo e orientamento politico, che si riconobbero comunità unita nella condivisione degli ideali di libertà e giustizia e posero le basi della nuova Italia.

Festeggiare la nascita della Repubblica significa evidenziare il carattere irreversibile e non mutabile sotto il profilo costituzionale del nostro paese, sancito solennemente nell’art. 139 della Costituzione: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. La scelta compiuta non è quindi suscettibile di revisione, non è nella disponibilità della politica, la quale non può azionare procedure, legittime costituzionalmente, per metterla in discussione, riformarla o peggio trasformarla. L’unica strada per cambiarla è un sovvertimento, un rovesciamento violento della legalità costituzionale.     

Le madri e i padri costituenti dunque non hanno semplicemente indicato un passaggio normativo, ma hanno posto un principio irreversibile, un pilastro e un caposaldo del patto identitario della nostra comunità. Quanto scelto dai cittadini mediante il referendum è valido in sé, è il prodotto di un percorso storico dell’Italia a partire dall’8 settembre, del nostro secondo Risorgimento ed è stato determinato per la prima volta attraverso l’esercizio del suffragio universale e diretto, caratterizzato da un’ampia partecipazione. La titolarità della sovranità del popolo, che la esercitata nei limiti e nelle forme stabilite dalla Costituzione, condizione questa indispensabile per garantire e tutelare i diritti e le libertà di ciascuno ed evitare possibili soprusi, porta ad escludere che nel nostro paese possa mai esistere il governo di uno solo o la dittatura della maggioranza contro la minoranza. La partecipazione paritaria di ogni cittadino alla determinazione del bene comune è l’elemento qualificante il nostro ordinamento costituzionale e la fonte legittimante le istituzioni in cui si articola. 

La forma repubblicana non è un oggetto, ma un soggetto vivente, motore della promozione della piena parità nei diritti e nelle libertà di ogni persona, che deve dipanarsi mediante un’azione riformatrice continua e profonda all’interno del tessuto sociale, culturale ed economico, finalizzata a rimuovere differenze, diseguaglianze, ostacoli di qualsivoglia natura e a proiettarci nel futuro, all’interno di un quadro di riferimento più ampio, l’Europa e la comunità internazionale, per perseguire l’inclusione e la pace. Inoltre la forma repubblicana costituisce un limite invalicabile oltre il quale non possiamo spingerci neppure come cittadini. L’Assemblea Costituente, nel corso di un anno e mezzo di intenso lavoro, attraverso un confronto serrato tra posizioni politiche diverse e spesso contrapposte, carico di fermenti e aneliti alla libertà e alla giustizia, animato da una tensione ideale e culturale maturata nella Resistenza e dal rifiuto del fascismo è riuscita a disegnare nella Costituzione della Repubblica una democrazia avanzata sul piano dei diritti e delle istanze sociali, che supera la concezione per cui la libertà di ognuno finisce dove ha inizio quella dell’altro e riconosce ad ogni persona la titolarità di diritti inviolabili che preesistono allo Stato, sono antecedenti alla sua nascita, alla sua strutturazione ordinamentale e pertanto sono indisponibili e intangibili da parte delle istituzioni statuali medesime.

La scelta della Repubblica è un dono straordinario che abbiamo ricevuto da quanti si batterono per conquistarla e ci indica un orizzonte verso cui volgere il nostro cammino di cittadini.<

Un abbraccio democratico

La Redazione



martedì 11 maggio 2021

Contributi per una Migliore Politica: Il PCI e la DC negli anni 70 Alla luce di Berlinguer e Moro, che PD costruire insieme?

 Seconda parte dell’ ntervista a Matteo Sticozzi del PD di Monte San Vito (Ancona) ed

a Enzo Musolino del PD di Villa San Giovanni (Reggio Calabria)


Con questo post proseguiamo l’intervista al Segretario del circolo del PD di Monte San Vito, ing. Matteo Sticozzi ed al portavoce del PD del circolo di Villa san Giovanni (Reggio Calabria), dott. Enzo Musolino. Ecco altre tre domande ai nostri interlocutori che ringraziamo per aver avviato questo dialogo a distanza tra Marche e Calabria..

Domande n. 5

Il presidente di Argomenti 2000 ed ex deputato PD, Ernesto Preziosi, ha dichiarato su Avvenire che occorre che il PD riprenda quel progetto culturale in cui trovava un posto importante il cattolicesimo democratico. Ha anche chiesto al Segretario Enrico Letta di rendere il PD un partito non agnostico, ma plurale. Cosa significa concretamente per Voi che il PD sia partito plurale e non agnostico? Vi ritrovate in questa affermazione del Presidente di Argomenti2000?

Risposta di Enzo

Un partito plurale significa un partito aperto alle contraddizioni feconde e alla messa in critica del concetto di identità. Ce lo sta insegnando Papa Francesco e la Fratelli tutti lo dice chiaramente: il “fissismo etico” è un limite!  Di fronte ai grandi problemi sociali va utilizzato un approccio laico di tipo giuridico: la mediazione, il compromesso, non sono parolacce, sono il buon viatico per le Riforme!  Mi sembra, invece, che dietro lo spauracchio dell’agnosticismo si possa nascondere il richiamo nefasto a nuovi e pericolosi “valori non negoziabili” che hanno fatto il male di una lunga stagione del cattolicesimo democratico a guida clericale.  Nel tempo Penultimo sono tante le Strade che possono condurre al benessere e al bene comune!  La responsabilità individuale, il culto della Persona, la lotta alle diseguaglianze, il rilancio della stagione dei diritti, devono essere il “faro ideale” del Partito Democratico, insieme all’Ideologia Necessaria della Repubblica (espressione questa di Aldo Moro), ossia l’Antifascismo!

Risposta di Matteo

La società è plurale, la famiglia è plurale e meno male che lo è.

Le ideologie del passato, da ambo le parti, fanno parte di quel tempo di quella società del livello culturale del momento. Ritengo ne giusto ne sbagliato ma in quel momento, esattamente un secolo fa, la condizione del popolo era ben diversa rispetto ad oggi. Se nascevi figlio di bracciante eri destinato a restare tale. Quelle condizioni hanno portato alla polarizzazione e ad arroccamenti. L'esperienza del fascismo e la lotta partigiana hanno dato il via ad un percorso, seppur lento, ad un dialogo, in nuce, che ha portato alla Costituzione e a battaglie per migliorare le condizioni dei più deboli. Venendo ad oggi il Partito Democratico è già plurale e deve esserlo sempre di più sui temi di interesse comune nel rispetto di tutti i credi e convinzioni confrontandosi ad ampio raggio assumendo un ruolo di aggregatore con capacità di sintesi verso una visione di futuro di lungo respiro. 

Domande n. 6

Ci aspettano mesi interessanti, di dibattito interno al Partito e con la società civile… In questi anni, abbiamo letto di posizioni favorevoli alle primarie, di posizioni contrarie alle primarie, ma anche di posizioni favorevoli alle primarie solo per indicare i candidati nelle istituzioni per la coalizione di centrosinistra, lasciando agli iscritti il compito di eleggere le cariche di partito. Sempre Preziosi, intervenendo alla ultima assemblea nazionale del PD, ha chiesto di ragionare sulla forma-partito.

Cosa pensate delle primarie? Dove il PD ha mostrato fragilità? Cosa invece sta andando bene?  Cosa vi aspettate dalle Agorà democratiche?

Risposta di Enzo

Le Primarie sono un falso problema.  Tutti gli strumenti possono essere utili in una fase storica e deleteri in un’altra. Negli ultimi anni abbiamo vissuto una disarticolazione progressiva del Partito, con i Circoli e i militanti abbandonati a loro stessi. I territori, nel silenzio della dirigenza nazionale, hanno “salvato” la Comunità Democratica, auto tassandosi, mantenendo accesa la luce all’interno delle sezioni, occupandosi del territorio e aprendosi alla cittadinanza.  Oggi Enrico Letta, meritoriamente, ha deciso di ripartire dai Circoli, dagli Iscritti e, quindi, dai militanti.  È questa al Via!  Le Primarie non potranno più essere l’occasione regalata ai nemici del PD per metterlo in difficoltà, attraverso “falsi elettori” pronti a condizionare le scelte del Centrosinistra.  Per questo, a mio parere, lo strumento va profondamente ripensato, riportandolo all’interno di una dinamica di iscritti/militanti/elettori.

Risposta di Matteo

Le primarie, secondo il mio punto di vista, nacquero in un contesto politico che doveva cambiare ma che in realtà è rimasto quello che era nel '900 anzi è peggiorato diventando uno strumento di potere di singoli in cerca di prestigio e potere. In queste condizioni non possono funzionare anzi favoriscono l'infiltrazione di gruppi interessati a portare in ruoli apicali i più spregiudicati e spesso rappresentanti di lobbisti. Non esiste nessuna organizzazione strutturata che quando è il momento di rinnovare i suoi organi faccia decidere a soggetti non appartenenti ad essa. In questo modello manca il rispetto di chi lavora tutti i giorni nel territorio; sostiene i costi della politica locale e per questo non può essere equiparato al primo che passa il giorno delle primarie. Personalmente nelle ultime elezioni amministrative locali ho assunto  insieme a tutto il direttivo, la responsabilità di indire primarie tra gli iscritti per la scelta del candidato sindaco.

Oggi c'è necessità di rivedere l'organizzazione del Partito ma ancora più importante è definire in modo chiaro la propria linea e chi si vuole rappresentare. Da troppo tempo mancano entrambi o almeno non sono evidenti ai cittadini.

Cosa sta andando bene? Che nonostante tutto i circoli ancora operano sul territorio e rappresentano il vero motore del Partito. Il nuovo segretario Letta, se mantiene la promessa, potrà rigenerare il Partito a patto che definisca bene gli obiettivi per cui ci batteremo. Per quanto riguarda le Agorà mi aspetto un dibattito aperto, franco impostato sulla chiarezza e sulla proposta. Un contributo aperto alla integrazione derivante  del confronto con i cittadini e associazioni.

Il Partito che si riappropria del suo ruolo di formatore e informatore su temi attuali ma di visione di lungo respiro. Tornare a dare speranza a chi oggi vedo tutto nero. Scaldare i cuori dei più deboli che potranno vedere chi si batte al loro fianco.. .

Domande finale, n. 7

Siete esponenti di un circolo PD dell’Italia di Centro e del nostro meridione. Reputo una novità questa possibilità di dialogo tra circoli di diverse regioni. Che Italia è questa in cui operiamo? Dal vostro punto di vista, cosa il PD deve rivendicare nel PNNR per dare attuazione a questa strategica visione del futuro del Paese?

Risposta di Enzo

Il Pd deve rivendicare livelli unici e garantiti di prestazioni sanitarie e sociali in tutto il territorio nazionale. Deve rivendicare risorse e investimenti perequativi per le aree in difficoltà. Deve rilanciare le infrastrutture al Sud per il bene di tutto il Paese. Si tratta di affermare un nuovo Meridionalismo che sia davvero questione comune, nazionale, propria di tutti i sinceri democratici. Questo, in fondo, ci chiede l’Europa e fondi Comunitari svincolati per affrontare la Pandemia e le ricadute sociali di questa crisi epocale, hanno l’obiettivo – finalmente – di risolvere problemi endemici per troppo tempo non affrontati.  Il PD deve essere solo conseguenziale! Io ho fiducia in Enrico Letta!

Risposta di Matteo

Per rispondere a questa domanda servirebbero almeno 10 incontri tematici che però dovrebbero partire dall'unità d'Italia. In questo periodo sto leggendo alcuni saggi del giornalista Pino  Aprile, giornalista appassionato e “incazzato”, su come è avvenuta l'unità del nostro paese. Non è un diletto puro ma, come in tutte le cose, prima di dare dei pareri bisogna conoscere l'oggi ma ancor di più come ci si è arrivati. Su questo il Partito dovrebbe fare  mia culpa e decidere di prendere di petto la situazione del Sud ed oggi anche del Centro Italia. Dai dati, adeguatamente documentati, nei testi di Aprile e di molti studiosi emerge chiaramente che:

Il sud è stato colonizzato dal nord e saccheggiato

che il sud  era dopo Inghilterra e Francia il terzo regno d'Europa (nel 1860) per cultura, benessere, flotta commerciale, innovazione. Napoli aveva i più grandi e stimati cantieri navali d'Europa. Due terzi dei prodotti venivano esportati. Il bilancio del regno era in attivo per 420 Milioni, quello dei colonizzatori sabaudi in forte perdita e non riusciva a pagare i debiti dovuti alle guerre che aveva sostenuto..

Dopo l'unificazione tutto fu trasferito al nord, le tasse furono triplicate, l'economia azzerata, le infrastrutture interrotte quelle in costruzione, zero investimenti, le scuole investimenti zero, ecc...

Obiettivo: fare del sud un mercato di consumo dei prodotti del nord, senza concorrenza, e riserva di manodopera per il nord estirpando milioni di cittadini dai loro territori.

Questo è continuato e continua ancora oggi con le leggi Tremonti - Gelmini che al Sud hanno sempre tagliato e usurpato pure i fondi europei che spettavano al SUD dirottandoli al Nord: Ricordate la multa da 4 Miliardi sulle quote latte sforate dagli allevatori del Nord? Chi ha pagato è il Sud togliendosi 4 miliardi dei fondi FAS dell'Europa.

Cosa deve fare il PD? Partire da questa situazione. La Quistione Meridionale si è aggravata, è ora di iniziare a far trasferire i fondi di ripartizione che spettano al SUD senza nessun taglio.

Nella ripartizione dei fondi deve valere il principio che chi ha i livelli di servizio più bassi deve avere più fondi per raggiungere i livelli di servizio (asili nido, strade, ferrovie, istruzione ecc...) equivalenti al resto delle altre regioni.

Grazie ancora a Matteo ed a Vincenzo…sono sicuro che questo esempio di approfondimento e di dialogo a distanza potrà dare giovamento anche alle imminenti agorà democratiche…

Giandiego Carastro