sabato 27 febbraio 2021

Regione Marche, avanti verso la "disparità" di genere

Il capogruppo di Fratelli d’Italia, Carlo Ciccioli, è tornato a prendersi la scena affermando che: “i genitori di una famiglia naturale hanno compiti espliciti: il padre deve dare le regole, la madre accudire. Senza una di queste due figure i bambini rischiano di zoppicare andando avanti nella vita. Queste cose si studiano in psicoanalisi. La famiglia naturale, composta da padre, madre e figli è l’unica forma valida da proporre in società. I bambini hanno il pieno diritto ad avere una famiglia composta in questo modo”. 

Queste affermazioni sconvolgono e riportano incredibilmente indietro la nostra società; difatti, il consigliere sembra dimenticare che i diritti della famiglia sono trattati anche dalla Costituzione italiana, in particolare dagli artt, 29 e 30 si ricavano gli importanti principi, dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli.

Oltre al testo costituzionale del 1948, la legislazione italiana con la L. n. 151/75 ha modificato la disciplina dei rapporti di famigliari, ciò proprio al fine di garantire l’eguaglianza giuridica e morale dei coniugi, sia per quanto riguarda i loro rapporti, sia per quanto concerne i rapporti con la prole.

Un passo ulteriore - al riconoscimento della prima parità fra i coniugi nel rapporto con i figli - è stato poi compiuto dalla L. del 2006 n. 54, che ha disciplinato l’affidamento condiviso dei figli in caso di separazione, posto che il figlio ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori – si ripete anche in caso di separazione/divorzio – continuando a ricevere da entrambi i genitori la cura, l’educazione e l’istruzione a lui necessaria, financo conservare i rapporti affettivi con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Da questo breve excursus si può comprendere facilmente come oltre ad essere sconvolgenti le affermazioni del Consigliere, vanno a minare i fondamenti su cui il nostro bel Paese si regge, e che solo grazie a lunghe battaglie e storiche rivincite hanno portato al raggiungimento della parità tra uomo-donna e, il riconoscimento di modelli familiari non fondati sul matrimonio, pensiamo alla legge Cirinnà del 2016, ove sono stati, finalmente riconosciuti una serie di diritti alle convivenze di fatto e alle unioni civili.

Di tutto questo, invece, la destra sembra dimenticarsi e, di più vuole far regredire la nostra società, cancellando libertà e diritti, ormai acquisiti.

Avv. Laura Carnevali

domenica 21 febbraio 2021

Contributi per la Migliore Politica, ricordando PCI e DC

I partiti politici sono stati un decisivo motore per la nascita della nostra Costituzione repubblicana. I partiti hanno reso possibile la democrazia della crescita economica e sociale. Il ruolo che i partiti hanno svolto è stato fondamentale: qui ricordiamo che il benessere di cui godiamo deriva dall'impegno di donne e uomini che hanno militato e combattuto battaglie, anche aspre, per l'affermazione dei diritti dei più deboli e delle classi lavoratrici.

Negli ultimi trent'anni ed in particolare dalla crisi finanziaria del 2008, le paure derivanti dalla crisi e la consistente riduzione della partecipazione alla politica hanno portato all'indebolimento dei partiti. In questo quadro, oggi il PD è forse l'unico partito che investe energie nella partecipazione dei propri iscritti, pur nella circostante disgregazione dei legami sociali. Noi siamo convinti che i partiti devono tornare a rappresentare ed attuare il loro ruolo, previsto dalla Costituzione, (articolo 49), con i dovuti ammodernamenti e le necessarie aperture alla cittadinanza attiva, alla società civile, ai gruppi giovanili, alle associazioni culturali, a chi fatica ogni giorno per difendere l'ambiente, etc.

Per questo, su input del Direttivo del circolo PD di Monte San Vito, ci è stato chiesto di avviare un nuovo ciclo di riflessioni, finalizzato a far conoscere alcuni momenti chiave di due partiti che hanno fatto la Resistenza, che hanno fatto la Costituzione, che hanno permesso al nostro Paese di crescere in democrazia e diritti civili e che sono idealmente collegati a ciò che siamo oggi: il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana.

Il metodo prescelto, crediamo, è originale: dedicare un post per ciascun decennio dagli anni 90 agli anni 20 del secolo scorso, scavando a ritroso, offrendo delle sintesi basate su alcuni protagonisti dell'epoca, i cui insegnamenti, i cui travagli, le cui riflessioni possono essere ancora di stimolo per il PD che siamo chiamati a costruire.

Il metodo è pertanto parziale e siamo sin d'ora aperti ad ospitare riflessioni critiche o integrative.

L'obiettivo è contribuire a creare le condizioni per quella che Papa Francesco chiama "La migliore politica", a partire dal nostro punto di vista di militanti del Partito Democratico.

Ecco alcuni punti della Enciclica Fratelli Tutti che vogliamo riportare perché ci sono di ispirazione

154. Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso.

169. In certe visioni economicistiche chiuse e monocromatiche, sembra che non trovino posto, per esempio, i movimenti popolari che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che non rientrano facilmente nei canali già stabiliti. In realtà, essi danno vita a varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria. Occorre pensare alla partecipazione sociale, politica ed economica in modalità tali «che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune»; al tempo stesso, è bene far sì «che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino». In questo senso sono “poeti sociali”, che a modo loro lavorano, propongono, promuovono e liberano. Con essi sarà possibile uno sviluppo umano integrale, che richiede di superare «quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli».[145] Benché diano fastidio, benché alcuni “pensatori” non sappiano come classificarli, bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza di loro «la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino».

Vi lasciamo con queste riflessioni e vi invitiamo a seguirci con il primo post della serie in uscita la prossima settimana.

Giandiego Carastro

mercoledì 27 gennaio 2021

Ricordare la memoria

La “Giornata della Memoria”. In occasione della ricorrenza dell’apertura dei neri cancelli di Auschwitz che significò la possibilità di un insperato ritorno alla vita per molte anime ormai rassegnate a dare del tu alla sofferenza e alla morte e che, al tempo stesso, in una sorta di liberazione e sdoganamento dell’orrore, disvelò al mondo la tragica e disumana portata del disegno di uno sterminio voluto, scientemente pianificato e scientificamente attuato, non vuole essere mia cura ripercorrere i drammatici eventi e le tappe che portarono all’esiziale parossismo della Shoah, quanto proporre una breve riflessione sul tema stesso della memoria.

Nonostante ancora oggi vi sia chi meschinamente e contro ogni umano valore, mediante un processo in cui la disonestà intellettuale e la superficialità si nutrono rispettivamente di odio belluino e di ignoranza, insiste nello sminuire la tragicità di quegli accadimenti fino addirittura a negarli, la Storia ci consegna, indelebile e incontrovertibile, quanto è stato. La costruzione della memoria deve, di necessità, passare dalla conoscenza, mentre una conoscenza senza memoria rischia di diventare uno sterile sapere, fatalmente cristallizzato nelle pieghe del tempo come un qualcosa di avulso dalla vita e dalla nostra quotidianità e potenzialmente destinato a svuotarsi di ogni valenza emotiva e, di conseguenza, fattuale.

Quale ruolo, allora, dovrebbe avere la memoria? Per chi porta con sé il peso gravoso degli anni la memoria è la misura dell’esperienza di una vita, lo scrigno che ne custodisce i tratti e i passaggi; per i giovani, invece, questa memoria può diventare una proiezione ideale verso il futuro, il riflesso di un’esistenza ancora da narrare. Ecco, quindi, come per un’intera società, quale quella umana, la memoria debba assurgere ad algoritmo fondamentale sopra il quale realizzare ed erigere il proprio domani, modulando in un abbraccio armonico la caleidoiscopica ricchezza delle diversità.

Ma la memoria, affinché non se ne disperda l’energia evocatrice, non può essere ridotta a fredda conoscenza, quanto alimentata, sempre custodita e… ricordata, sì, ricordata!

Se mi è concessa una digressione etimologica, vorrei sottolineare come per gli antichi il cuore fosse l’organo deputato alla memoria, tanto che lo stesso verbo “ricordare” deriva dal latino cor-cordis, cioè “cuore”; ora, mi piace pensare come l’esercizio del ricordo non si risolva esclusivamente come un mero processo sinaptico di stimoli e impulsi elettrici, ma che, secondo l’accezione pur fisiologicamente errata dei nostri antenati, contempli una profonda partecipazione emotiva.

La “Giornata della Memoria”, dunque, non deve soltanto celebrare un importante anniversario o semplicemente far conoscere quanto storicamente accaduto alle nuove generazioni; la “Memoria” deve essere calata nel nostro sentire, deve compenetrare ogni particella del nostro essere, deve essere accordata al nostro cuore, perché sia davvero riferimento esemplare per realizzare quel futuro di pace che auspichiamo per i nostri figli e perché chi sarà dopo di noi non debba rivivere, anche in altre forme o con altri attori, l’oscena atrocità dell’Olocausto che ha brutalizzato milioni di vite e lo stesso concetto di umanità.

Non smettiamo mai di ricordare la memoria!

 

Prof. Auro Barabesi


martedì 1 dicembre 2020

Fratelli tutti: Nessuno si salva da solo

L'Acli Marche prova a fare una sintesi della terza enciclica di Papa Francesco, ringraziamo Giandiego per la segnalazione. 

“Fratelli tutti” è il titolo della terza enciclica di papa Francesco, resa pubblica il 4 ottobre, festa di San Francesco, un documento impossibile da sintetizzare in poche righe, ma dal quale si possono trarre alcune importanti indicazioni, anche per il particolare momento che stiamo vivendo.

Innanzitutto va sottolineata la continuità con l’enciclica “Laudato si’”, dedicata ai problemi del nostro pianeta, la “casa comune”: la fratellanza di cui si parla non riguarda soltanto il rapporto fra gli esseri umani, ma anche il rapporto con il creato. Anche questa enciclica si apre con una analisi dei problemi del mondo di oggi, che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale. Il papa denuncia i “segni di un ritorno all’indietro”, in conflitti anacronistici, in “nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi” e in molteplici forme di razzismo: “è inaccettabile – scrive il papa – che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti”.

A questo “mondo chiuso” il papa contrappone “un mondo aperto”, fondato sulla dignità di ogni persona, sulla legge suprema dell’amore fraterno e, come si legge nel sottotitolo dell’enciclica, “sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Tutta l’enciclica trae ispirazione dalla parabola del buon samaritano, che ci propone appunto una fraternità universale aperta, “che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita”. Di qui l’invito ad avere “un cuore aperto al mondo intero”, unendo un sano amore per la propria patria all’apertura ai problemi del mondo intero. Dalla sfida di “sognare e pensare un’altra umanità” si passa alle sfide concrete che devono affrontare gli uomini di oggi; il papa riprende così temi a lui cari: il rifiuto della “cultura dello scarto” e del disprezzo per i deboli, il rispetto dei diritti umani, il corretto atteggiamento nei confronti delle migrazioni (vengono riproposti i 4 verbi: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”), “il grande tema del lavoro”, l’aiuto ai poveri consentendo loro “una vita degna mediante il lavoro”.

In una “società pluralista”, la fraternità nel mondo si costruisce sul dialogo, come “riconoscimento del punto di vista dell’altro”; ma si costruisce anche sul superamento dei conflitti, sul perdono reciproco e sulla pace. Da queste convinzioni discende la chiara condanna della guerra (non esiste una guerra giusta) e della pena di morte, definita “inammissibile” e quindi da abolire in tutti i Paesi del mondo. Nella costruzione della fraternità universale un contributo fondamentale deve venire dalle religioni, da tutte le religioni, a partire dal “dialogo tra persone di religioni differenti”.

Nell’enciclica non manca un riferimento alla pandemia che stiamo vivendo, con una indicazione di fondo: “Il vero dramma di questa crisi sarebbe quello di sprecarla”. Il papa riprende quanto aveva affermato nella meditazione del 27 marzo a Piazza San Pietro: “siamo tutti sulla stessa barca”. Siamo tutti fragili e disorientati, ma il virus ci ha fatto comprendere che ci troviamo tutti sulla stessa barca e ci ha reso consapevoli di essere “una comunità mondiale”. Non sprechiamo quindi questa crisi; dobbiamo sconfiggere il Coronavirus, ma ci sono altri virus da sconfiggere: l’egoismo, l’individualismo, il razzismo. Affrontiamoli, consapevoli che siamo fragili, ma convinti anche che “nessuno si salva da solo”.

Fonte "ACLI Marche"

mercoledì 25 novembre 2020

363 giorni all'anno: Donne tra paure e ipocrisie!

Dalla semplice spinta allo schiaffo, dalle minacce alle intimidazioni fino allo stalking, anche nella sua versione cyber, non meno devastante, dal revenge porn alla violenza fisica e sessuale vera e propria fino al femminicidio. Non si tratta solo di scene tratte da fictions televisive, o di titoli a effetto per i TG, sono storie drammaticamente vere, attuali più che mai. Su queste violenze l'ONU ha voluto accendere un faro istituendo, dal 1999, la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le Donne e di genere. Una giornata simbolo che, insieme all'8 marzo, richiama l'attenzione sul tema e cerca di far sentire meno sole tutte quelle vittime di questo abominio primordiale.

Come Circolo sentiamo l'esigenza di approfondire questo delicato tema e, per capirne di più, abbiamo intervistato la Dott.ssa Giorgia Martelli, criminologa e sociologa.

Chi c’è dietro la violenza di genere? Non solo il 25 novembre e l’8 marzo.

Purtroppo non serve cercare troppo distanti da noi, anzi, si tratta spesso di persone cresciute e che vivono nella nostra società e ancora oggi, alla fine del 2020, poco si fa per analizzarli e tentare di recuperarli. Di violenza nelle relazioni affettive se ne parla prevalentemente in due giornate, il 25 novembre e l’8 marzo, come se gli altri 363 giorni dell’anno non esistesse…

Quando leggiamo di violenze perpetrate ad una donna ci domandiamo cosa stiano provando i suoi figli? Se abbiamo dei vicini particolarmente litigiosi solitamente alziamo il volume della televisione o della radio per non sentire, è più facile e meno rischioso che chiamare le Forze dell’Ordine ed “impicciarsi degli affari altrui” ignorando inoltre che i loro figli stiano assistendo alle violenze.

Oltre alle donne che subiscono violenza ci sono infatti altre figure sulle quali ricadono le azioni dei maltrattanti: gli eventuali figli vittime di violenza assistita, gli orfani speciali nei casi di femminicidio, i familiari delle vittime.

La società patriarcale, della quale ancora portiamo addosso gli strascichi, ci ha insegnato come il maltrattamento sia un modello culturale che apprendiamo ed al quale diamo rinforzo in quanto via semplice alla risoluzione dei problemi emotivi e relazionali. Pensiamo alla violenza come il risultato di un insieme di fattori (culturali, psicologici e sociali) e che non sempre siamo consapevoli di fare del male ad un’altra persona o che ce ne venga fatto, o che lediamo o ci ledano i nostri sentimenti. Sin dalla nascita apprendiamo comportamenti da chi ci circonda, i nostri genitori ci educano in base a come sono stati a loro volta formati ed ancora oggi siamo immersi negli stereotipi come “il maschio non deve mostrare i propri sentimenti”, “le femmine sono fragili e vanno protette” e via dicendo.

La violenza sulla compagna è una nuova forma di droga, gratuita, sempre a disposizione, fare violenza non comporta costi per chi maltratta: dai giovani che cercano unioni a tutti i costi e diventare genitori presto, ai professionisti di mezza età, ai padri disarmati; alcool, depressione, droghe, problemi economici e lavorativi, sono solo alcuni dei fattori di rischio che amplificano la violenza. Chi agisce violenza attribuisce la causa del suo atteggiamento a fattori esterni non dipendenti da se. Il maltrattamento è un processo che l’uomo sceglie di mantenere per ottenere potere e controllo sulla vittima, non è una forma di conflitto coniugale a causa della disparità delle forze in gioco e della ripetuta sottomissione agita.

Qual è l’identikit dell’uomo che agisce violenza nelle relazioni affettive?

Non esiste uno stereotipo del maltrattante o della donna vittima, chiunque è a rischio di subire maltrattamenti ed agire violenza, importante è sensibilizzarci ed aumentare la consapevolezza di cosa producono le nostre azioni nei riguardi degli altri in modo da non agire in modo errato.

L’uomo violento non ha necessariamente disturbi psicopatologici e/o dipendenze da gioco d’azzardo, alcool e droghe. Non tutti i maltrattati sono pericolosi allo stesso modo: gli uomini mentono principalmente per salvaguardare la propria immagine con il mondo esterno, per salvare la reputazione con chi ha intorno e per prevenire le conseguenze legate all’ammissione.

I maltrattanti legittimano la violenza e quando non può essere motivata entra in gioco la negazione, occultando la violenza e le sue conseguenze o attribuendole un altro significato. Alcuni uomini sono convinti che la donna provi piacere nel venire violentata, credono che la vittima sia destinata a recitare il ruolo della preda e che lui abbia il potere. L’uomo ha sempre visto decretata la sua presunta superiorità attraverso l’esercizio del potere misogino e con l’avvento della separazione e del divorzio le donne vittime di violenza hanno trovato il coraggio e la forza di sottrarsi agli abusi.

Tra i fattori di rischio del maltrattante sono state evidenziate alcune caratteristiche ricorrenti tra le quali la scarsa assertività, la scarsa autostima, le scarse competenze sociali, l’abuso di sostanze, la scarsa capacità di autocontrollo, le distorsioni cognitive, l’inadeguata dipendenza, la violenza subita o assistita da bambini o in adolescenza, i precedenti comportamenti violenti, il disturbo antisociale di personalità. Gli uomini violenti non hanno necessariamente subito maltrattamenti nel corso dell’infanzia. I maltrattamenti non dipendono da momentanee perdite di controllo (il “raptus”, termine entrato nel gergo comune ed erroneamente utilizzato per “giustificare” la violenza contro le donne). L’uomo deve essere chiamato a rendere conto dei propri comportamenti abusivi e può essere accompagnato, attraverso trattamenti mirati, in un processo di assunzione di responsabilità e di acquisizione di nuove risposte orientate al rispetto.

Come si possono aiutare gli uomini ad uscire dal circolo della violenza?

Negli ultimi anni anche in Italia si sono sviluppate Associazioni e movimenti che aiutano l’uomo che ha agito violenza sulla propria partner o ex partner a lavorare su se stessi ed evitare di ricommettere gli errori del passato, non è un percorso semplice e non tutti coloro che lo intraprendono poi riescono a portarlo a termine: c’è chi lascia durante il percorso per poi tornare ed altri che abbandonano definitivamente, chi è stato invitato dal proprio avvocato per “fare bella figura” davanti al Giudice pensando di ottenere sconti di pena, chi invece è spinto dall’amore per i figli e chi chiede aiuto per cambiare realmente. Il maltrattante non è recuperabile in tutti i casi purtroppo, il lavoro è lungo, faticoso e non tutti sono disposti a mettersi in gioco per cambiare. Il rischio di recidiva c’è. L’uomo è motivato nell’andare avanti nel percorso quando sa che può perdere la relazione con la compagna e con gli eventuali figli, il cambiamento deve partire da lui in primis. Il maltrattante, seguendo un programma di aiuto, potrà essere in grado di osservarsi in modo critico ed assumersi la responsabilità delle violenze che ha agito. L’obiettivo primario del lavoro con gli uomini autori di violenza è l’assicurare l’incolumità delle donne e dei loro figli.

Solitamente il primo tipo di violenza che scompare dopo aver iniziato il percorso è quella fisica mentre permane la violenza psicologica nei confronti della donna. Con il maltrattante è importante incoraggiare le azioni buone, anticipare le possibili ricadute e prevenire il drop-out (l’uscita dal percorso) così da rinforzare l’adesione al percorso: il drop-out è pericoloso anche per la donna e gli eventuali figli del maltrattante.

Il lavoro con gli autori di violenza può aumentare la sicurezza delle partner (ex partner) e dei minori consentendo risposte più rapide e più informate alle situazioni di rischio. Non esistono interventi privi di rischi ma si cerca di minimizzare il rischio di recidiva. I programmi per autori lavorano in collaborazione con i servizi di supporto per le donne e con gli altri servizi territoriali oltre che con la Magistratura, devono rispettare la Convenzione di Istanbul e forniscono informazioni sugli effetti della violenza aiutando a sviluppare nel maltrattante empatia ed assunzione di responsabilità.

Durante i vari lockdown si è visto un abbassarsi del tasso di femminicidio ma aumentare la violenza, perché?

La violenza di genere non si è fermata con la quarantena per la pandemia, tante sono le problematiche sommerse, le vittime avendo in molti casi il maltrattante in casa, non provano nemmeno a contattare le Associazioni che si occupano di aiutarle.

La casa dovrebbe essere un posto sicuro per non contrarre il Covid19 ma non evita di patire maltrattamenti, per le donne che subiscono violenza ed i bambini sottoposti a quella assistita, le mura che li circondano diventano l’inferno: il non potersi muovere liberamente ha frenato il consumo di alcool e stupefacenti, la prostituzione, il gioco d’azzardo e le dipendenze che alcuni maltrattanti avevano prima della pandemia facendo ricadere la frustrazione e l’astinenza sulle compagne ed eventuali figli richiusi in qualche metro quadrato.

Il consiglio che va caldamente dato alle donne vittime è di chiudersi in una stanza e chiamare il numero del centro/sportello antiviolenza di zona altrimenti il numero nazionale 1522 (disponibile anche tramite chat), oppure il 112 o infine utilizzando le applicazioni “112 Where ARE U” o “YouPol”.

Ringraziamo la Dott.ssa Martelli per averci fornito un punto di vista più tecnico dell'argomento. Un tema delicatissimo e spesso proprio per questo trattato come un tabù, pericoloso e sconveniente da affrontare. Invece come Circolo PD di Monte San Vito non solo crediamo che serva parlarne ma servono anche una serie di azioni/progetti mirati a creare, anche fosse solo nelle coscienze delle persone, quell'identità civile che superi i generi e guardi ad una società nuova, plurale, paritaria e solidale. In questo senso stiamo formando un "Gruppo di Azione" tutto al femminile che tratterà, per il Circolo, diverse tematiche sociali oltre che politiche.

Un abbraccio di genere,

La Redazione