Dalla semplice spinta allo schiaffo, dalle minacce alle intimidazioni fino allo
stalking, anche nella sua versione cyber, non meno devastante, dal revenge porn alla violenza fisica e sessuale vera e propria fino al femminicidio. Non si tratta solo di
scene tratte da fictions televisive, o di titoli a effetto per i TG, sono storie drammaticamente vere, attuali più che
mai. Su queste violenze l'ONU ha voluto accendere un faro istituendo, dal 1999,
la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le Donne e di genere. Una
giornata simbolo che, insieme all'8 marzo, richiama l'attenzione sul tema e
cerca di far sentire meno sole tutte quelle vittime di questo abominio
primordiale.
Come Circolo sentiamo l'esigenza di approfondire questo delicato tema e, per capirne di più, abbiamo intervistato la Dott.ssa Giorgia
Martelli, criminologa e sociologa.
Chi c’è dietro la violenza di genere? Non solo il 25
novembre e l’8 marzo.
Purtroppo non serve cercare troppo distanti da noi, anzi, si tratta spesso di persone cresciute e che vivono nella nostra società e ancora oggi,
alla fine del 2020, poco si fa per analizzarli e tentare di recuperarli. Di
violenza nelle relazioni affettive se ne parla prevalentemente in due giornate,
il 25 novembre e l’8 marzo, come se gli altri 363 giorni dell’anno non
esistesse…
Quando leggiamo di violenze perpetrate ad una donna ci
domandiamo cosa stiano provando i suoi figli? Se abbiamo dei vicini
particolarmente litigiosi solitamente alziamo il volume della televisione o
della radio per non sentire, è più facile e meno rischioso che chiamare le
Forze dell’Ordine ed “impicciarsi degli affari altrui” ignorando inoltre che i
loro figli stiano assistendo alle violenze.
Oltre alle donne che subiscono violenza ci sono infatti altre figure
sulle quali ricadono le azioni dei maltrattanti: gli eventuali figli vittime di
violenza assistita, gli orfani speciali nei casi di femminicidio, i familiari
delle vittime.
La società patriarcale, della quale ancora portiamo addosso
gli strascichi, ci ha insegnato come il maltrattamento sia un modello culturale
che apprendiamo ed al quale diamo rinforzo in quanto via semplice alla
risoluzione dei problemi emotivi e relazionali. Pensiamo alla violenza come il
risultato di un insieme di fattori (culturali, psicologici e sociali) e che non
sempre siamo consapevoli di fare del male ad un’altra persona o che ce ne venga
fatto, o che lediamo o ci ledano i nostri sentimenti. Sin dalla nascita
apprendiamo comportamenti da chi ci circonda, i nostri genitori ci educano in
base a come sono stati a loro volta formati ed ancora oggi siamo immersi negli
stereotipi come “il maschio non deve mostrare i propri sentimenti”, “le femmine
sono fragili e vanno protette” e via dicendo.
La violenza sulla compagna è una nuova forma di droga,
gratuita, sempre a disposizione, fare violenza non comporta costi per chi
maltratta: dai giovani che cercano unioni a tutti i costi e diventare genitori
presto, ai professionisti di mezza età, ai padri disarmati; alcool,
depressione, droghe, problemi economici e lavorativi, sono solo alcuni dei
fattori di rischio che amplificano la violenza. Chi agisce violenza attribuisce
la causa del suo atteggiamento a fattori esterni non dipendenti da se. Il maltrattamento
è un processo che l’uomo sceglie di mantenere per ottenere potere e controllo
sulla vittima, non è una forma di conflitto coniugale a causa della disparità
delle forze in gioco e della ripetuta sottomissione agita.
Qual è l’identikit dell’uomo che agisce violenza nelle
relazioni affettive?
Non esiste uno stereotipo del maltrattante o della donna
vittima, chiunque è a rischio di subire maltrattamenti ed agire violenza,
importante è sensibilizzarci ed aumentare la consapevolezza di cosa producono
le nostre azioni nei riguardi degli altri in modo da non agire in modo errato.
L’uomo violento non ha necessariamente disturbi
psicopatologici e/o dipendenze da gioco d’azzardo, alcool e droghe. Non tutti i
maltrattati sono pericolosi allo stesso modo: gli uomini mentono principalmente
per salvaguardare la propria immagine con il mondo esterno, per salvare la
reputazione con chi ha intorno e per prevenire le conseguenze legate
all’ammissione.
I maltrattanti legittimano la violenza e quando non può
essere motivata entra in gioco la negazione, occultando la violenza e le sue
conseguenze o attribuendole un altro significato. Alcuni uomini sono convinti
che la donna provi piacere nel venire violentata, credono che la vittima sia
destinata a recitare il ruolo della preda e che lui abbia il potere. L’uomo ha
sempre visto decretata la sua presunta superiorità attraverso l’esercizio del
potere misogino e con l’avvento della separazione e del divorzio le donne
vittime di violenza hanno trovato il coraggio e la forza di sottrarsi agli
abusi.
Tra i fattori di rischio del maltrattante sono state
evidenziate alcune caratteristiche ricorrenti tra le quali la scarsa
assertività, la scarsa autostima, le scarse competenze sociali, l’abuso di
sostanze, la scarsa capacità di autocontrollo, le distorsioni cognitive,
l’inadeguata dipendenza, la violenza subita o assistita da bambini o in
adolescenza, i precedenti comportamenti violenti, il disturbo antisociale di personalità. Gli
uomini violenti non hanno necessariamente subito maltrattamenti nel corso
dell’infanzia. I maltrattamenti non dipendono da momentanee perdite di
controllo (il “raptus”, termine entrato nel gergo comune ed erroneamente
utilizzato per “giustificare” la violenza contro le donne). L’uomo deve essere
chiamato a rendere conto dei propri comportamenti abusivi e può essere
accompagnato, attraverso trattamenti mirati, in un processo di assunzione di
responsabilità e di acquisizione di nuove risposte orientate al rispetto.
Come si possono aiutare gli uomini ad uscire dal circolo
della violenza?
Negli ultimi anni anche in Italia si sono sviluppate
Associazioni e movimenti che aiutano l’uomo che ha agito violenza sulla propria
partner o ex partner a lavorare su se stessi ed evitare di ricommettere gli
errori del passato, non è un percorso semplice e non tutti coloro che lo
intraprendono poi riescono a portarlo a termine: c’è chi lascia durante il
percorso per poi tornare ed altri che abbandonano definitivamente, chi è stato
invitato dal proprio avvocato per “fare bella figura” davanti al Giudice
pensando di ottenere sconti di pena, chi invece è spinto dall’amore per i figli
e chi chiede aiuto per cambiare realmente. Il maltrattante non è recuperabile
in tutti i casi purtroppo, il lavoro è lungo, faticoso e non tutti sono
disposti a mettersi in gioco per cambiare. Il rischio di recidiva c’è. L’uomo è
motivato nell’andare avanti nel percorso quando sa che può perdere la relazione
con la compagna e con gli eventuali figli, il cambiamento deve partire da lui
in primis. Il maltrattante, seguendo un programma di aiuto, potrà essere in
grado di osservarsi in modo critico ed assumersi la responsabilità delle
violenze che ha agito. L’obiettivo primario del lavoro con gli uomini autori di
violenza è l’assicurare l’incolumità delle donne e dei loro figli.
Solitamente il primo tipo di violenza che scompare dopo aver
iniziato il percorso è quella fisica mentre permane la violenza psicologica nei
confronti della donna. Con il maltrattante è importante incoraggiare le azioni
buone, anticipare le possibili ricadute e prevenire il drop-out (l’uscita dal
percorso) così da rinforzare l’adesione al percorso: il drop-out è pericoloso
anche per la donna e gli eventuali figli del maltrattante.
Il lavoro con gli autori di violenza può aumentare la
sicurezza delle partner (ex partner) e dei minori consentendo risposte più
rapide e più informate alle situazioni di rischio. Non esistono interventi
privi di rischi ma si cerca di minimizzare il rischio di recidiva. I programmi
per autori lavorano in collaborazione con i servizi di supporto per le donne e
con gli altri servizi territoriali oltre che con la Magistratura, devono
rispettare la Convenzione di Istanbul e forniscono informazioni sugli effetti
della violenza aiutando a sviluppare nel maltrattante empatia ed assunzione di
responsabilità.
Durante i vari lockdown si è visto un abbassarsi del tasso
di femminicidio ma aumentare la violenza, perché?
La violenza di genere non si è fermata con la quarantena per
la pandemia, tante sono le problematiche sommerse, le vittime avendo in molti
casi il maltrattante in casa, non provano nemmeno a contattare le Associazioni
che si occupano di aiutarle.
La casa dovrebbe essere un posto sicuro per non contrarre il
Covid19 ma non evita di patire maltrattamenti, per le donne che subiscono
violenza ed i bambini sottoposti a quella assistita, le mura che li circondano
diventano l’inferno: il non potersi muovere liberamente ha frenato il consumo
di alcool e stupefacenti, la prostituzione, il gioco d’azzardo e le dipendenze
che alcuni maltrattanti avevano prima della pandemia facendo ricadere la
frustrazione e l’astinenza sulle compagne ed eventuali figli richiusi in
qualche metro quadrato.
Il consiglio che va caldamente dato alle donne vittime è di
chiudersi in una stanza e chiamare il numero del centro/sportello antiviolenza
di zona altrimenti il numero nazionale 1522 (disponibile anche tramite chat),
oppure il 112 o infine utilizzando le applicazioni “112 Where ARE U” o
“YouPol”.
Ringraziamo la Dott.ssa Martelli per averci fornito un punto di vista più tecnico dell'argomento. Un tema delicatissimo e spesso proprio per questo trattato come un tabù, pericoloso e sconveniente da affrontare. Invece come Circolo PD di Monte San Vito non solo crediamo che serva parlarne ma servono anche una serie di azioni/progetti mirati a creare, anche fosse solo nelle coscienze delle persone, quell'identità civile che superi i generi e guardi ad una società nuova, plurale, paritaria e solidale. In questo senso stiamo formando un "Gruppo di Azione" tutto al femminile che tratterà, per il Circolo, diverse tematiche sociali oltre che politiche.
Un abbraccio di genere,
La Redazione