venerdì 28 agosto 2020

I “nemici” di Francesco e la sfida di un nuovo modello di sviluppo

Seconda parte

Non ignoro che per tanti secoli, il cristianesimo ha promosso una cultura dell’austerità, della fuga dal mondo, della rinuncia ai piaceri del mondo. Ma questo è un filone proprio del monachesimo, cioè dei monaci e delle monache che scelgono un modo radicale di vivere l’appartenenza a Dio ed alla Chiesa. La chiamata ad essere monaci e monache non è per tutti; uguale dignità in termini di vita santa e felice ha la chiamata a vivere da battezzati nella quotidianità: e questa caratteristica è della larga maggioranza del popolo di Dio!

Un momento in cui il nucleo finanziario ed il nucleo teologico si sono fusi è la critica alle attenzioni del Papa alla cura della casa comune, espressa nella enciclica Laudato Sì, del 2015. Papa Francesco chiede alle Nazioni di lottare contro il cambiamento climatico, che potrebbe far emergere inique diseguaglianze e danneggerà l’ecosistema in modo irrimediabile. Alcuni credenti e prelati hanno apprezzato le posizioni “negazioniste” rispetto alle alterazioni climatiche del Presidente degli USA D.Trump, piuttosto che sostenere l’impegno di Francesco per la casa comune.

Vorrei provare a fare un ragionamento più ampio, di natura storica: i prelati che hanno espresso critiche a Papa Francesco sono in realtà critici anche del Concilio Vaticano II, un evento che ha segnato il Novecento, di rilevanza ecclesiale, ma anche civile.

Mi piacerebbe nei prossimi mesi far conoscere bene cosa è stato Concilio Vaticano II: basti pensare che grazie a questo evento, Paesi come la Spagna ed il Portogallo sono usciti da una fase di dittatura per arrivare ad una fase di democrazia, senza spargimenti di sangue tra il popolo. Rinvio ai lavori del Convegno organizzato qualche anno alla Sapienza dal titolo: Paolo VI, Il Concilio Vaticano II e la terza ondata democratica. https://stefanoceccanti.it/15-ottobre-alla-sapienza-paolo-vi-e-la-terza-ondata-democratica/).  

Il Concilio Vaticano II si è svolto dal 1962 al 1965 ed è stato il momento in cui duemila vescovi insieme al Papa (prima Giovanni XXIII e poi Paolo VI) hanno chiesto aiuto allo Spirito Santo per aggiornare il modo con cui essere presenti nel mondo. Hanno scelto di lasciare da parte la fase delle condanne (contro gli ebrei, contro i protestanti, contro i massoni, contro i comunisti, contro la scienza, contro i musulmani) per scegliere la via del dialogo con le persone di buona volontà, siano esse ebree, protestanti, massoni, comuniste, siano esse scienziati, musulmani, etc. A che fine? Per sperimentare una convivenza pacifica, secondo i principi della dignità umana, della solidarietà, della sussidiarietà, del bene comune…

Giandiego Carastro

martedì 25 agosto 2020

I “nemici” di Francesco e la sfida di un nuovo modello di sviluppo

Prima parte

Il Pontificato di Francesco ha avviato dei processi universali, per rimettere al centro le persone ed il creato, rispetto a logiche economiche basate esclusivamente sulla produzione di nuove merci, che trasformano i cittadini in consumatori e li inducono a rincorrere l’acquisto di beni di consumo superflui o comunque non sempre necessari. Nel precedente post, ho descritto solo alcuni dei passaggi importanti di questo Pontificato. Mi è stato chiesto dalla Redazione di dedicare un secondo post per dare conto delle posizioni contrarie al messaggio di Francesco, sia dentro che fuori la comunità ecclesiale.

Il tema è reale, è presente sui giornali e sui blog: è stato trattato dal giornalista Nello Scavo nel libro I Nemici di Francesco, edizioni Piemme, al quale rimando i lettori. Cosa succede? Succede che da anni alcuni laici e (pochi) vescovi si dedicano a rivolgere accuse a Francesco: la sua elezione sarebbe nulla; il vero papa sarebbe ancora Benedetto XVI ; Francesco sarebbe eretico perché abbandona la retta tradizione. Spesso tali laici e vescovi, critici con il Papa, guardano con favore ai regimi di “democratura” (democrazia illiberale o vicina alla dittatura). Perché questa acrimonia contro il Papa?

A mio avviso, i nuclei di oppositori al papato di Francesco possono essere due: il primo di natura economico-finanziaria, il secondo di natura teologica.

“Questa economia uccide”, ha scritto chiaramente Francesco nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 2013. Riporto i numeri 53 e 54 della Esortazione apostolica:

“No a un’economia dell’esclusione. 53. Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma  di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”. 54. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.”

Molto probabilmente, i circoli finanziari di Wall Street piuttosto che di Londra o Milano avranno reagito male nel leggere queste parole. Infatti, il Papa chiede di trasformare il modello economico a livello globale, continentale, nazionale, locale. I critici del Papa vedono un attacco alle proprie dottrine di neo-liberismo estremo e accusano il Papa di pensare poco alle anime e troppo ai corpi. In questo, il nucleo “finanziario” si allea con il nucleo “teologico”, poiché alcuni esponenti del mondo ecclesiale, del laicato e della gerarchia, non concordano con il fatto che il Papa parli di come migliorare le condizioni di vita materiali delle donne e degli uomini. Qui, sta una dimenticanza, perché il cristianesimo è la religione del Dio che si fa Uomo per salvare le donne e gli uomini, in spirito, corpo, anima. Non solo nell’anima. I prelati che accusano Papa Francesco vivono la smemoratezza di non ricordare che esiste la Dottrina sociale della Chiesa, cioè un insieme di principi che la Tradizione cristiana ha maturato alla luce del Vangelo e del Magistero: dignità della persona umana; solidarietà, sussidiarietà, bene comune (ecco un link utile: http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html).

  Giandiego Carastro

lunedì 17 agosto 2020

PD, uno sguardo sul futuro prossimo.

Il nostro spirito di continua autocritica ci ha spesso portati ad interrogarci sulla bontà e sulla efficacia di questo Governo, partendo dalle ragioni che hanno contribuito alla sua nascita, di necessità prima, per dare una nuova solidità al Paese ed impedire ad una certa destra di prendere il comando sotto i fumi del mojito, e di convivenza dopo, decreto dopo decreto, scoprendo che tra le due parti (PD e M5S) sussistono diverse affinità di pensiero, anche se, realisticamente, le distanze sembrano essere ancora tante e, soprattutto, sembrano concrete. La risposta non è semplice e non può essere cosi facilmente sintetizzata in un Si o un No. Certo, alla luce degli accadimenti di quest'anno, con la durissima crisi sanitaria da gestire, non si può che rispondere con un Si, per fortuna questo Governo è nato ed ha gestito, con la dovuta serietà, un momento davvero complicato e storico, altri Paesi non sono riusciti a fare altrettanto e la differenza l'ha fatta proprio il differente approccio politico. Siamo decisamente convinti che i problemi non hanno colore politico, non sono ne di destra ne tantomeno di sinistra, ma le soluzioni si, quelle hanno un sempre un chiaro colore ed una precisa connotazione politica. Per nostra fortuna non avremo mai la controprova, ma possiamo tranquillamente immaginare cosa sarebbe potuto succedere, in una situazione sanitaria delicatissima, con un governo a spinta Lega, con l'attenzione tutta sui porti e sui migranti e negazionismo diffuso e di convenienza nel Paese (come se i flussi migranti si muovessero solo via mare, vorremmo ricordare che gran parte di questi flussi segue la rotta balcanica, via terra, ma forse questi fanno meno audience, prima o poi qualcuno, magari laureato su Facebook, ci spiegherà il perché).

Di seguito riportiamo un analisi del nostro Segretario Nicola Zingaretti a cui però vorremmo ricordare due passaggi che riteniamo centrali rispetto al nostro modo di pensare Politico:

  • Il MES, da qualche settimana assente ingiustificato dalla discussione politica (seppur presente nel articolo completo su la stampa), eppure avevamo lottato per renderlo esigibile e privo di condizionalità, possibile che non riusciamo ad imporre un punto cosi importante nell'agenda politica dei nostri "compagni" di viaggio?
  • Il ritiro delle denunce contro il M5S per le accuse infamanti di questi anni. Seppur comprendendone la natura, difficile passeggiare allegramente spalla a spalla con chi hai denunciato, e consapevoli che "loro" hanno fatto altrettanto, avremmo almeno meritato, come iscritti ed attivisti una analisi completa ed una discussione che arrivasse alla base del Partito.
Di seguito le dichiarazioni del nostro Segretario:

"La scelta di formare questo governo da parte del Pd è stata lungimirante. Anche se non vanno nascoste le difficoltà in nome della salvezza della Repubblica.

Senza questo governo non avremmo potuto fronteggiare la pandemia: Salvini l'avrebbe gestita come Trump o Bolsonaro e il rapporto conflittuale con l'Europa non avrebbe permesso di ottenere per l'Italia gli straordinari risultati, anche in termini di risorse.

Il Pd è la garanzia ed è il motore affinché le cose cambino in meglio.

Le risorse del Recovery Fund vanno utilizzate su progetti credibili, concreti e di valore strategico.  Ne ho parlato oggi su La Stampa.

ECCO LE NOSTRE PRIORITÀ

• Innovazione, ricerca, scuola, capitale umano, valorizzazione dei nostri talenti, green economy, digitalizzazione del Paese e drastico ammodernamento della pubblica amministrazione, con la semplificazione dei regolamenti troppo numerosi e complicati e della ancora così forte vischiosità della pubblica amministrazione.

• Impegno contro le discriminazioni di genere.

• rilancio di politiche industriali in grado di coordinare meglio le strategie e dare alle nostre grandi imprese pubbliche degli obiettivi Paese.

• Sostegno molto più attivo al tessuto della piccola e media impresa.

• Sul piano fiscale, l’adeguamento dei pagamenti all'erario da parte da tante partite Iva.

• Infrastrutture moderne, risanamento strutturale del dissesto idrogeologico dei nostri territori, interventi nel Mezzogiorno.

• Rilancio del Sistema sanitario. Occorre attivare il Mes che è una linea di finanziamento molto più vantaggiosa rispetto alla ricerca di risorse sul mercato. Ed è senza condizioni.

So che dovremo raggiungere questi obiettivi in una situazione politica per certi aspetti anomala. Ma è inutile lamentarsi, tramare o fare confusione. Occorre un impegno corale per cambiare e ricostruire fiducia nel futuro.

Abbiamo una missione: lasciare ai giovani un'Italia migliore di quella che abbiamo trovato. Ora è possibile."

Un abbraccio riflessivo,

La Redazione 

venerdì 14 agosto 2020

Solo una "Questione Morale"?

"La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico". (cit. Berlinguer).

Una dichiarazione drammaticamente attuale, come molte sue altre. Così lo storico leader di quella Sinistra che seppe, partendo anche dalla dura analisi delle sue ombre interne, costruire un pezzo di storia importante per le future Democrazie.

Viene da domandarci cosa Berlinguer potrebbe pensare e dire oggi, a circa 40 anni da quelle dichiarazioni ed alla luce dell'attuale scandalo del Bonus Covid, i famosi 600 euro, poi diventati 1000, richiesto ed ottenuto anche dai parlamentari (almeno 5 stando alle dichiarazioni INPS), oltre che dalle tante figure che rappresentano comunque le istituzioni a livello regionale, e cosa aggiungerebbe alle sue già dure parole sulla politica di allora. 

Siamo chiari, questa del Bosus rappresenta solo l'ennesima dimostrazione di quanto poveri, miserevoli, ridicoli, meschini, inadeguati possano essere certi "uomini", ed ovviamente "donne", di questa "nuova politica italiana". Personaggi talmente pieni di se che a forza di urlare "al ladro" si sono dimenticati che, l'invettiva, laddove spregevole, deve valere anche e soprattutto per se stessi. Dov'è quella politica che deve ergersi da "esempio", dentro quale anfratto del dibattito è andata persa. Come ci siamo ritrovati in un mondo in cui gli slogan, e soprattutto le "cazzzate", contano più di un serio dibattito e, tristemente, più delle azioni meritevoli?

Cosa penserebbe del continuo sberleffo che, anche conseguenza di comportamenti "volutamente" leggeri ed irrispettosi di certi politicanti, tanti cittadini si sentono il diritto di avere verso le Istituzioni?

Cosa penserebbe del degrado morale e culturale in cui tutto questo ci sta trascinando?

Noi volgiamo credere che, piuttosto, ci chiederebbe "cosa ne pensiamo noi" e cosa siamo disposti a fare per inserire la retromarcia, fermo restando che non sia già troppo tardi.

Proprio cosi, oggi siamo noi gli attori in campo, Politici e non, attivisti e non, o più semplicemente cittadini di un Paese che non sa più come urlarci il suo bisogno di "ridestarsi". Siamo convinti che ci sia un Italia che crede nella giustizia, nella legalità, nella trasparenza, convivenza civile, finanche nelle Istituzioni e nello Stato, e crede in un Paese stufo di farsi ingannare dalle solite menzogne, architettate ad arte per distrarre l'opinione pubblica delle proprie incapacità.

Provate a fare un "test", pubblicate sulla vostra pagina Facebook (vale per qualsiasi Social) 2 post nella stessa giornata, uno nel quale parlate di un argomento importante, nel quale credete, esempio immigrazione, scuola, economia, scegliete voi, poi poco dopo pubblicate un post volutamente "leggero", ad esempio voi che bevete una birra magari con una mascherina nel taschino o sul gomito, ironizzando su questo, bhe credetemi, il post con la birra surclasserà di "mi piace" l'altro post. Questo piccolo test non ha alcuna pretesa di carattere sociologico, ma restituisce un idea molto semplice e banale di come gli argomenti seri perdono facilmente contro argomentazioni di gran lunga più leggere e disinpegnative.

Quello che sembra mancare al dibattito attuale sembra essere quel forte legame con gli "Ideali" che contraddistingueva il dibattito politico fino a qualche tempo fa, soprattutto di una parte della sinistra,

Dobbiamo tornare a riempire di significato le Nostre parole, riscoprendo la "grande bellezza" dei nostri temi, che significato riusciamo ancora a dare a temi come "Etica e Morale" se lasciamo che all'indignazione iniziale non seguano azioni mirate ad impedire nuovi scempi, ed altri temi come "Giustizia, Legalità" che valore hanno se al ricordo ed alla commozione non seguono azioni forti e vere di contrasto agli abusi, alle corruzioni facili e diffuse, alle evasioni fiscali (tema drammaticamente vivo) e non ultimo di contrasto a tutte le Mafie. Ed il senso di "Riformismo" vogliamo davvero consegnarlo alla storia come un "bluff", un inganno a noi stessi della serie "avevamo in mente tante belle riforme, ma una volta l'opposizione, una volta l'Europa ed una volta Capitan Nessuno ce l'hanno impedito?

E' giunta l'ora di smettere di guardarsi allo specchio, se la società in cui viviamo inizia a non piacerci dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze per cambiarla. Abbiamo tante sfide importanti davanti a noi, la crisi (nostro malgrado) ci consegna un Paese che ha necessità di cambiare passo, davvero, fuori dagli slogan, penso al MES. Tutti concordiamo sulla necessità di una Sanità nuova, efficiente, equa e solidale da nord a sud, ora è il momento. Dobbiamo affermarlo a voce alta, fieri e convinti che sia la cosa giusta, perchè sappiamo che lo è.

Lasciamo agli altri gli "slogan" non hanno altro, Noi abbiamo da fare, abbiamo un Paese a cui pensare.

Un abbraccio Riformista,

La Redazione




 

 

giovedì 13 agosto 2020

1848-1948 "Dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica Italiana"

Costituzione della Rapubblica Italiana
Parte III                                      

Negli anni della guerra, dopo l’armistizio con gli Alleati annunciato alla nazione l’8 settembre 1943, con la Resistenza e la ripresa dell’attività dei movimenti politici antifascisti precedentemente messi al bando dal regime di Mussolini e la successiva liberazione da esso, si giunse a maturare l’idea che lo Statuto Albertino non fosse più uno strumento adeguato per la costruzione né, soprattutto, per la cura di una società democratica.

Il 2 giugno 1946 si tenne il referendum popolare per stabilire se l’Italia dovesse mantenere come forma di governo la monarchia o se dovesse diventare una repubblica.

Per la prima volta nella storia del nostro Paese la votazione avvenne per suffragio universale, cioè con l’estensione del diritto di voto alle donne, così come era stato stabilito dai decreti legislativi luogotenenziali emanati dai governi provvisori ancora in tempo di guerra, in particolare il numero 23 del 1° febbraio 1945 introdotto su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi sotto la seconda presidenza Bonomi.

A essere più precisi, già a partire dal marzo del 1946 la componente femminile dell’elettorato italiano aveva potuto esercitare questo diritto in alcune tornate a carattere amministrativo e locale. La data del 2 giugno resta tuttavia emblematica e simbolica, perché si trattò della prima occasione in cui si adottò il suffragio universale su scala nazionale con il referendum e le contestuali elezioni politiche.

A tal proposito, in una sorta di “election day” ante litteram, Il 2 giugno, oltre al referendum che sancì la vittoria della Repubblica, gli italiani furono anche chiamati ad eleggere i 556 membri dell’Assemblea Costituente, cioè quel novello organo istituzionale che avrebbe avuto il compito di stendere una nuova Costituzione per l’Italia.

All’interno dell’Assemblea Costituente, a seguire, fu individuata una commissione formata da 75 membri e rappresentativa di tutti gli orientamenti politici con il compito di formulare i principi fondamentali del nuovo stato repubblicano, che, in riferimento ai valori della democrazia, dell’uguaglianza e della libertà, sarebbero poi confluiti nei primi dodici articoli della Costituzione.

I lavori dell’Assemblea non furono sempre agevoli, soprattutto per il delicato e onusto compito di armonizzare le diverse istanze delle varie forze politiche in campo e di giungere ad un documento che ne rappresentasse un valido compromesso e allo stesso tempo garantisse al sistema istituzionale italiano una salda tenuta contro potenziali derive autoritarie e antidemocratiche, cosa che lo Statuto Albertino, per la sua flessibilità, non era riuscito a fare.

Dopo circa un anno e mezzo di attività e di sessioni, si arrivò alla promulgazione ufficiale della Costituzione della Repubblica Italiana e alla sua entrata in vigore: era il 1° gennaio del 1948.

La Costituzione era quindi scaturita dal confronto e dalla sintesi degli orientamenti di tutti quei movimenti politici che, pur essendo sottesi a collocazioni ideologiche differente e a volte anche antitetiche, avevano come comune denominatore l’antifascismo e il riconoscimento dei principi e dei diritti democratici e civili dei cittadini come fondamenti inderogabili della nuova società italiana.

Questo passaggio è fondamentale e oggi più che mai urge rammentarlo, poiché l’antifascismo è un valore fondante della nostra società civile che, secondo i dettami costituzionalmente statuiti, ravvisa nel fascismo o anche soltanto nell’apologia di esso un reato perseguibile a norma di legge.

Quali sono le principali caratteristiche della Costituzione repubblicana?

La Costituzione Italiana è:

  • Votata dai membri dell’Assemblea Costituente eletti direttamente dal popolo.

  • Lunga, poiché prevede 139 articoli, suddivisi in tre parti (Principi fondamentali: articoli 1-12; Parte I: diritti e doveri dei cittadini, art. 13-54; Parte II: ordinamento della repubblica, art. 55-139), più le Disposizioni transitorie e finali (18 articoli).


  • Rigida, perché eventuali modifiche non possono essere operate tramite iter legislativi ordinari, ma devono passare attraverso quella che viene chiamata “procedura aggravata” per la revisione delle leggi costituzionali. La flessibilità precipua dello Statuto Albertino,


  • Democratica, perché costitutiva di una repubblica che riconosce i diritti dei cittadini e si impegna a tutelarne il benessere attraverso lo stato sociale.


Per quanto concerne l’ordinamento istituzionale, i Padri Costituenti stabilirono di adottare come forma di governo quello della Repubblica Parlamentare, sistema atto a garantire pienamente la separazione dei poteri dello Stato. Il Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica, è la figura rappresentativa dell’unità dello Stato; il potere legislativo è affidato al Parlamento suddiviso in due camere elettive, Camera dei Deputati e Senato, quello esecutivo al governo presieduto dal Presidente del Consiglio e quello giudiziario alla magistratura.

Da quel lontano 1848, quando re Carlo Alberto di Savoia aveva voluto riconoscere alcuni, seppur limitati, diritti ai propri sudditi, passando attraverso le lotte risorgimentali, due conflitti mondiali e la barbarie della dittatura fascista, si è arrivati alla Costituzione Repubblicana del 1948, mai come oggi attuale e garante di quella libertà di cui godiamo grazie al sacrificio e all’intelletto di chi si è impegnato per fare dell’Italia un paese democratico e civile.

A quanti, in nome di una migliore efficienza dello Stato, invocano cambiamenti radicali della Costituzione, spesso in modo capzioso o per finalità piegate ad un particolarismo politico nemmeno troppo celato e potenzialmente pernicioso per la tenuta democratica del Paese, è d’obbligo ricordare come la nostra carta sia davvero foriera di valori esemplari e che, senza con questo venir meno alla necessità di leggere l’evolversi dei tempi, anche su scala globale, sarebbe sufficiente rispettarne appieno le indicazioni per avere una società ancora più funzionale ad una fattiva concretizzazione di quei diritti e di quelle libertà che essa indiscutibilmente sancisce. 

Un abbraccio Costituzionale,

La Redazione