Ci preme partire dal quel primo 2 giugno per riproporne il valore e lo spirito. Parliamo del 2 giugno del 1946, la guerra era finita da poco (25 aprile del 1945). L’Italia provava faticosamente a riprendere il suo cammino democratico, interrotto da 20 nefasti anni di fascismo, nei fatti però eravamo ancora una monarchia, quindi si chiamarono gli elettori, e per la prima storica volta a livello nazionale le donne, a votare se rimanere monarchia o diventare Repubblica. Una cosa molto interessante è che, al giorno d’oggi molti si sono convinti che la democrazia consista nel “votare” e, nel momento in cui si vota, chi vince “comanda”, per fortuna non è cosi (o almeno non è così che dovrebbe funzionare). La democrazia è un insieme complesso e delicato di regole dove, naturalmente conta il voto degli elettori, e ci mancherebbe, non sarebbe altrimenti definibile demo-crazia ovvero governo del popolo, a contare sono soprattutto quelle, a qualcuno indigeste, regole della democrazia fatte di pesi e contrappesi, per dirla con semplicità conta molto la “saggezza” e difatti cosa successe il 2 giugno del’46 e immediatamente dopo? Vinse la Repubblica, non in modo assoluto, ad esempio il sud votò in maggioranza per la monarchia, ma nell’insieme l’Italia scelse la via della Repubblica ed a presiedere e guidare come primo capo dello Stato, ricordiamo che fino a quel momento era stato il capo del Governo, cioè Alcide De Gasperi, fu chiamato Enrico De Nicola, guarda caso un monarchico. Perché la saggezza consiste anche in questo, il vincitore non deve mai stravincere, perché quando stravinci poi, in un modo o nell’altro finisci per fare del male al Paese e al suo Popolo. Da qui partì quindi l’attività dell’Assemblea Costituente con la scrittura della “Costituzione della Repubblica Italiana” emanata il 1 gennaio 1948 ed il 18 aprile del’48 si andò per la prima volta a votare per le elezioni legislative, con elezione del Parlamento e del Senato, della nuova Repubblica Italiana che elesse cosi il primo Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, anche lui in realtà di tradizione monarchica. Le elezioni del 18 aprile furono vinte dalla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi che poteva cosi disporre della maggioranza assoluta ma scelse di governare in coalizione perché riteneva pericolosa la concentrazione del potere in un solo partito. Queste sono le “lezioni nascoste”, ma vere, della nostra storia e cioè, in un paese che veniva da una profondissima guerra civile bisognava stare sempre molto attenti alla concentrazione dei poteri. Le Costituzioni delle Repubbliche che funzionano prevedono al loro interno necessariamente pesi e contrappesi, sistemi che hanno la funzione di evitare che chi vince le elezioni “Comandi”. Chi vince le elezioni, in democrazia, “non comanda” ma “governa” che è una cosa completamente diversa. In Italia i pesi ed i contrappesi ogni tanto ce li perdiamo, ci facciamo un po prendere la mano dal potere, forse agevolati da una profonda incapacità di fare sintesi oltre che di ascolto. Dobbiamo “insieme” trovare la forza e lo spirito di riscoprire la bellezza politica della “saggezza” e con essa riavviare una ritrovata Italia.
Di seguito un articolo molto interessante di Luigi De Angelis tratto da lanotiziacondivisa.it sull’importanza di quella scelta (popolare) verso la Repubblica, la sue motivazioni e la sua “irreversibilità”:
>La Repubblica, la nostra identità e il nostro futuro.
“La Repubblica, specchio dei suoi cittadini e, insieme,
baluardo delle loro libertà, deve sempre sapere rinnovarsi, dotarsi di
strumenti più efficaci e trasparenti, riconquistarne la piena fiducia,
indebolita in anni di crisi economica, di minor fertilità del circuito
democratico. La Repubblica resta lo spazio vitale. Resta un ponte. Verso
l’Europa, che è il nostro destino e la nostra opportunità nel mondo globale.
Verso uno sviluppo sostenibile, che deve legare insieme la qualità italiana,
una migliore competitività del sistema e una maggiore equità sociale. Verso il
futuro, per dar sicurezza alle speranze dei nostri giovani.
Non saper guardare oltre il presente costituisce uno dei
limiti più grandi del nostro tempo. La scelta repubblicana fu, allora, il
risultato di uno sguardo lungo. Sono convinto che disponiamo di tutte le
energie per progettare insieme un futuro migliore”. (Sergio Mattarella, “La
scelta repubblicana nella ricostruzione della democrazia italiana”, in “Italianieuropei”,
n. 2-3/2016).
Il 2 giugno 1946 è la data simbolo della svolta democratica,
segna l’inizio di una nuova epoca, a cui l’Italia giunge passando attraverso
l’oscura notte della dittatura fascista che per vent’anni aveva negato libertà
e diritti soggettivi, dell’occupazione tedesca, delle stragi nazifasciste,
della guerra civile e dei bombardamenti. Il referendum tra Monarchia e
Repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente rappresentano uno
spartiacque, una cesura netta sotto il profilo costituzionale rispetto
all’esperienza del Regno di Italia, in cui il parlamento, il governo e le corti
di giustizia traevano la propria legittimazione all’esercizio dei poteri loro
concessi da una costituzione octroyée, elargita ai sudditi con un atto unilaterale
del sovrano assoluto, nella cui persona continuava comunque a risiedere
l’intera autorità.
Quel giorno i cittadini italiani si riappropriarono della
titolarità della sovranità, auto-defininendosi e auto-rappresentandosi come
unità politica consapevole di esistere e di avere capacità di autogoverno, la
esercitarono con il voto e sancirono non soltanto la fine della monarchia, ma
la nascita dello stato democratico, la Repubblica, un nuovo ordinamento che
trova la sua fonte di legittimazione nell’autodeterminazione, nella lotta
partigiana di liberazione, nel sacrificio degli uomini e delle donne, di ogni
credo e orientamento politico, che si riconobbero comunità unita nella
condivisione degli ideali di libertà e giustizia e posero le basi della nuova Italia.
Festeggiare la nascita della Repubblica significa
evidenziare il carattere irreversibile e non mutabile sotto il profilo
costituzionale del nostro paese, sancito solennemente nell’art. 139 della
Costituzione: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale”. La scelta compiuta non è quindi suscettibile di revisione, non
è nella disponibilità della politica, la quale non può azionare procedure,
legittime costituzionalmente, per metterla in discussione, riformarla o peggio
trasformarla. L’unica strada per cambiarla è un sovvertimento, un rovesciamento
violento della legalità costituzionale.
Le madri e i padri costituenti dunque non hanno
semplicemente indicato un passaggio normativo, ma hanno posto un principio
irreversibile, un pilastro e un caposaldo del patto identitario della nostra
comunità. Quanto scelto dai cittadini mediante il referendum è valido in sé, è
il prodotto di un percorso storico dell’Italia a partire dall’8 settembre, del
nostro secondo Risorgimento ed è stato determinato per la prima volta
attraverso l’esercizio del suffragio universale e diretto, caratterizzato da
un’ampia partecipazione. La titolarità della sovranità del popolo, che la
esercitata nei limiti e nelle forme stabilite dalla Costituzione, condizione
questa indispensabile per garantire e tutelare i diritti e le libertà di
ciascuno ed evitare possibili soprusi, porta ad escludere che nel nostro paese
possa mai esistere il governo di uno solo o la dittatura della maggioranza
contro la minoranza. La partecipazione paritaria di ogni cittadino alla
determinazione del bene comune è l’elemento qualificante il nostro ordinamento
costituzionale e la fonte legittimante le istituzioni in cui si articola.
La forma repubblicana non è un oggetto, ma un soggetto
vivente, motore della promozione della piena parità nei diritti e nelle libertà
di ogni persona, che deve dipanarsi mediante un’azione riformatrice continua e
profonda all’interno del tessuto sociale, culturale ed economico, finalizzata a
rimuovere differenze, diseguaglianze, ostacoli di qualsivoglia natura e a
proiettarci nel futuro, all’interno di un quadro di riferimento più ampio,
l’Europa e la comunità internazionale, per perseguire l’inclusione e la pace.
Inoltre la forma repubblicana costituisce un limite invalicabile oltre il quale
non possiamo spingerci neppure come cittadini. L’Assemblea Costituente, nel
corso di un anno e mezzo di intenso lavoro, attraverso un confronto serrato tra
posizioni politiche diverse e spesso contrapposte, carico di fermenti e aneliti
alla libertà e alla giustizia, animato da una tensione ideale e culturale
maturata nella Resistenza e dal rifiuto del fascismo è riuscita a disegnare
nella Costituzione della Repubblica una democrazia avanzata sul piano dei
diritti e delle istanze sociali, che supera la concezione per cui la libertà di
ognuno finisce dove ha inizio quella dell’altro e riconosce ad ogni persona la
titolarità di diritti inviolabili che preesistono allo Stato, sono antecedenti
alla sua nascita, alla sua strutturazione ordinamentale e pertanto sono
indisponibili e intangibili da parte delle istituzioni statuali medesime.
La scelta della Repubblica è un dono straordinario che
abbiamo ricevuto da quanti si batterono per conquistarla e ci indica un
orizzonte verso cui volgere il nostro cammino di cittadini.<
Un abbraccio democratico
La Redazione