mercoledì 27 gennaio 2021

Ricordare la memoria

La “Giornata della Memoria”. In occasione della ricorrenza dell’apertura dei neri cancelli di Auschwitz che significò la possibilità di un insperato ritorno alla vita per molte anime ormai rassegnate a dare del tu alla sofferenza e alla morte e che, al tempo stesso, in una sorta di liberazione e sdoganamento dell’orrore, disvelò al mondo la tragica e disumana portata del disegno di uno sterminio voluto, scientemente pianificato e scientificamente attuato, non vuole essere mia cura ripercorrere i drammatici eventi e le tappe che portarono all’esiziale parossismo della Shoah, quanto proporre una breve riflessione sul tema stesso della memoria.

Nonostante ancora oggi vi sia chi meschinamente e contro ogni umano valore, mediante un processo in cui la disonestà intellettuale e la superficialità si nutrono rispettivamente di odio belluino e di ignoranza, insiste nello sminuire la tragicità di quegli accadimenti fino addirittura a negarli, la Storia ci consegna, indelebile e incontrovertibile, quanto è stato. La costruzione della memoria deve, di necessità, passare dalla conoscenza, mentre una conoscenza senza memoria rischia di diventare uno sterile sapere, fatalmente cristallizzato nelle pieghe del tempo come un qualcosa di avulso dalla vita e dalla nostra quotidianità e potenzialmente destinato a svuotarsi di ogni valenza emotiva e, di conseguenza, fattuale.

Quale ruolo, allora, dovrebbe avere la memoria? Per chi porta con sé il peso gravoso degli anni la memoria è la misura dell’esperienza di una vita, lo scrigno che ne custodisce i tratti e i passaggi; per i giovani, invece, questa memoria può diventare una proiezione ideale verso il futuro, il riflesso di un’esistenza ancora da narrare. Ecco, quindi, come per un’intera società, quale quella umana, la memoria debba assurgere ad algoritmo fondamentale sopra il quale realizzare ed erigere il proprio domani, modulando in un abbraccio armonico la caleidoiscopica ricchezza delle diversità.

Ma la memoria, affinché non se ne disperda l’energia evocatrice, non può essere ridotta a fredda conoscenza, quanto alimentata, sempre custodita e… ricordata, sì, ricordata!

Se mi è concessa una digressione etimologica, vorrei sottolineare come per gli antichi il cuore fosse l’organo deputato alla memoria, tanto che lo stesso verbo “ricordare” deriva dal latino cor-cordis, cioè “cuore”; ora, mi piace pensare come l’esercizio del ricordo non si risolva esclusivamente come un mero processo sinaptico di stimoli e impulsi elettrici, ma che, secondo l’accezione pur fisiologicamente errata dei nostri antenati, contempli una profonda partecipazione emotiva.

La “Giornata della Memoria”, dunque, non deve soltanto celebrare un importante anniversario o semplicemente far conoscere quanto storicamente accaduto alle nuove generazioni; la “Memoria” deve essere calata nel nostro sentire, deve compenetrare ogni particella del nostro essere, deve essere accordata al nostro cuore, perché sia davvero riferimento esemplare per realizzare quel futuro di pace che auspichiamo per i nostri figli e perché chi sarà dopo di noi non debba rivivere, anche in altre forme o con altri attori, l’oscena atrocità dell’Olocausto che ha brutalizzato milioni di vite e lo stesso concetto di umanità.

Non smettiamo mai di ricordare la memoria!

 

Prof. Auro Barabesi


martedì 1 dicembre 2020

Fratelli tutti: Nessuno si salva da solo

L'Acli Marche prova a fare una sintesi della terza enciclica di Papa Francesco, ringraziamo Giandiego per la segnalazione. 

“Fratelli tutti” è il titolo della terza enciclica di papa Francesco, resa pubblica il 4 ottobre, festa di San Francesco, un documento impossibile da sintetizzare in poche righe, ma dal quale si possono trarre alcune importanti indicazioni, anche per il particolare momento che stiamo vivendo.

Innanzitutto va sottolineata la continuità con l’enciclica “Laudato si’”, dedicata ai problemi del nostro pianeta, la “casa comune”: la fratellanza di cui si parla non riguarda soltanto il rapporto fra gli esseri umani, ma anche il rapporto con il creato. Anche questa enciclica si apre con una analisi dei problemi del mondo di oggi, che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale. Il papa denuncia i “segni di un ritorno all’indietro”, in conflitti anacronistici, in “nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi” e in molteplici forme di razzismo: “è inaccettabile – scrive il papa – che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti”.

A questo “mondo chiuso” il papa contrappone “un mondo aperto”, fondato sulla dignità di ogni persona, sulla legge suprema dell’amore fraterno e, come si legge nel sottotitolo dell’enciclica, “sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Tutta l’enciclica trae ispirazione dalla parabola del buon samaritano, che ci propone appunto una fraternità universale aperta, “che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita”. Di qui l’invito ad avere “un cuore aperto al mondo intero”, unendo un sano amore per la propria patria all’apertura ai problemi del mondo intero. Dalla sfida di “sognare e pensare un’altra umanità” si passa alle sfide concrete che devono affrontare gli uomini di oggi; il papa riprende così temi a lui cari: il rifiuto della “cultura dello scarto” e del disprezzo per i deboli, il rispetto dei diritti umani, il corretto atteggiamento nei confronti delle migrazioni (vengono riproposti i 4 verbi: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”), “il grande tema del lavoro”, l’aiuto ai poveri consentendo loro “una vita degna mediante il lavoro”.

In una “società pluralista”, la fraternità nel mondo si costruisce sul dialogo, come “riconoscimento del punto di vista dell’altro”; ma si costruisce anche sul superamento dei conflitti, sul perdono reciproco e sulla pace. Da queste convinzioni discende la chiara condanna della guerra (non esiste una guerra giusta) e della pena di morte, definita “inammissibile” e quindi da abolire in tutti i Paesi del mondo. Nella costruzione della fraternità universale un contributo fondamentale deve venire dalle religioni, da tutte le religioni, a partire dal “dialogo tra persone di religioni differenti”.

Nell’enciclica non manca un riferimento alla pandemia che stiamo vivendo, con una indicazione di fondo: “Il vero dramma di questa crisi sarebbe quello di sprecarla”. Il papa riprende quanto aveva affermato nella meditazione del 27 marzo a Piazza San Pietro: “siamo tutti sulla stessa barca”. Siamo tutti fragili e disorientati, ma il virus ci ha fatto comprendere che ci troviamo tutti sulla stessa barca e ci ha reso consapevoli di essere “una comunità mondiale”. Non sprechiamo quindi questa crisi; dobbiamo sconfiggere il Coronavirus, ma ci sono altri virus da sconfiggere: l’egoismo, l’individualismo, il razzismo. Affrontiamoli, consapevoli che siamo fragili, ma convinti anche che “nessuno si salva da solo”.

Fonte "ACLI Marche"

mercoledì 25 novembre 2020

363 giorni all'anno: Donne tra paure e ipocrisie!

Dalla semplice spinta allo schiaffo, dalle minacce alle intimidazioni fino allo stalking, anche nella sua versione cyber, non meno devastante, dal revenge porn alla violenza fisica e sessuale vera e propria fino al femminicidio. Non si tratta solo di scene tratte da fictions televisive, o di titoli a effetto per i TG, sono storie drammaticamente vere, attuali più che mai. Su queste violenze l'ONU ha voluto accendere un faro istituendo, dal 1999, la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le Donne e di genere. Una giornata simbolo che, insieme all'8 marzo, richiama l'attenzione sul tema e cerca di far sentire meno sole tutte quelle vittime di questo abominio primordiale.

Come Circolo sentiamo l'esigenza di approfondire questo delicato tema e, per capirne di più, abbiamo intervistato la Dott.ssa Giorgia Martelli, criminologa e sociologa.

Chi c’è dietro la violenza di genere? Non solo il 25 novembre e l’8 marzo.

Purtroppo non serve cercare troppo distanti da noi, anzi, si tratta spesso di persone cresciute e che vivono nella nostra società e ancora oggi, alla fine del 2020, poco si fa per analizzarli e tentare di recuperarli. Di violenza nelle relazioni affettive se ne parla prevalentemente in due giornate, il 25 novembre e l’8 marzo, come se gli altri 363 giorni dell’anno non esistesse…

Quando leggiamo di violenze perpetrate ad una donna ci domandiamo cosa stiano provando i suoi figli? Se abbiamo dei vicini particolarmente litigiosi solitamente alziamo il volume della televisione o della radio per non sentire, è più facile e meno rischioso che chiamare le Forze dell’Ordine ed “impicciarsi degli affari altrui” ignorando inoltre che i loro figli stiano assistendo alle violenze.

Oltre alle donne che subiscono violenza ci sono infatti altre figure sulle quali ricadono le azioni dei maltrattanti: gli eventuali figli vittime di violenza assistita, gli orfani speciali nei casi di femminicidio, i familiari delle vittime.

La società patriarcale, della quale ancora portiamo addosso gli strascichi, ci ha insegnato come il maltrattamento sia un modello culturale che apprendiamo ed al quale diamo rinforzo in quanto via semplice alla risoluzione dei problemi emotivi e relazionali. Pensiamo alla violenza come il risultato di un insieme di fattori (culturali, psicologici e sociali) e che non sempre siamo consapevoli di fare del male ad un’altra persona o che ce ne venga fatto, o che lediamo o ci ledano i nostri sentimenti. Sin dalla nascita apprendiamo comportamenti da chi ci circonda, i nostri genitori ci educano in base a come sono stati a loro volta formati ed ancora oggi siamo immersi negli stereotipi come “il maschio non deve mostrare i propri sentimenti”, “le femmine sono fragili e vanno protette” e via dicendo.

La violenza sulla compagna è una nuova forma di droga, gratuita, sempre a disposizione, fare violenza non comporta costi per chi maltratta: dai giovani che cercano unioni a tutti i costi e diventare genitori presto, ai professionisti di mezza età, ai padri disarmati; alcool, depressione, droghe, problemi economici e lavorativi, sono solo alcuni dei fattori di rischio che amplificano la violenza. Chi agisce violenza attribuisce la causa del suo atteggiamento a fattori esterni non dipendenti da se. Il maltrattamento è un processo che l’uomo sceglie di mantenere per ottenere potere e controllo sulla vittima, non è una forma di conflitto coniugale a causa della disparità delle forze in gioco e della ripetuta sottomissione agita.

Qual è l’identikit dell’uomo che agisce violenza nelle relazioni affettive?

Non esiste uno stereotipo del maltrattante o della donna vittima, chiunque è a rischio di subire maltrattamenti ed agire violenza, importante è sensibilizzarci ed aumentare la consapevolezza di cosa producono le nostre azioni nei riguardi degli altri in modo da non agire in modo errato.

L’uomo violento non ha necessariamente disturbi psicopatologici e/o dipendenze da gioco d’azzardo, alcool e droghe. Non tutti i maltrattati sono pericolosi allo stesso modo: gli uomini mentono principalmente per salvaguardare la propria immagine con il mondo esterno, per salvare la reputazione con chi ha intorno e per prevenire le conseguenze legate all’ammissione.

I maltrattanti legittimano la violenza e quando non può essere motivata entra in gioco la negazione, occultando la violenza e le sue conseguenze o attribuendole un altro significato. Alcuni uomini sono convinti che la donna provi piacere nel venire violentata, credono che la vittima sia destinata a recitare il ruolo della preda e che lui abbia il potere. L’uomo ha sempre visto decretata la sua presunta superiorità attraverso l’esercizio del potere misogino e con l’avvento della separazione e del divorzio le donne vittime di violenza hanno trovato il coraggio e la forza di sottrarsi agli abusi.

Tra i fattori di rischio del maltrattante sono state evidenziate alcune caratteristiche ricorrenti tra le quali la scarsa assertività, la scarsa autostima, le scarse competenze sociali, l’abuso di sostanze, la scarsa capacità di autocontrollo, le distorsioni cognitive, l’inadeguata dipendenza, la violenza subita o assistita da bambini o in adolescenza, i precedenti comportamenti violenti, il disturbo antisociale di personalità. Gli uomini violenti non hanno necessariamente subito maltrattamenti nel corso dell’infanzia. I maltrattamenti non dipendono da momentanee perdite di controllo (il “raptus”, termine entrato nel gergo comune ed erroneamente utilizzato per “giustificare” la violenza contro le donne). L’uomo deve essere chiamato a rendere conto dei propri comportamenti abusivi e può essere accompagnato, attraverso trattamenti mirati, in un processo di assunzione di responsabilità e di acquisizione di nuove risposte orientate al rispetto.

Come si possono aiutare gli uomini ad uscire dal circolo della violenza?

Negli ultimi anni anche in Italia si sono sviluppate Associazioni e movimenti che aiutano l’uomo che ha agito violenza sulla propria partner o ex partner a lavorare su se stessi ed evitare di ricommettere gli errori del passato, non è un percorso semplice e non tutti coloro che lo intraprendono poi riescono a portarlo a termine: c’è chi lascia durante il percorso per poi tornare ed altri che abbandonano definitivamente, chi è stato invitato dal proprio avvocato per “fare bella figura” davanti al Giudice pensando di ottenere sconti di pena, chi invece è spinto dall’amore per i figli e chi chiede aiuto per cambiare realmente. Il maltrattante non è recuperabile in tutti i casi purtroppo, il lavoro è lungo, faticoso e non tutti sono disposti a mettersi in gioco per cambiare. Il rischio di recidiva c’è. L’uomo è motivato nell’andare avanti nel percorso quando sa che può perdere la relazione con la compagna e con gli eventuali figli, il cambiamento deve partire da lui in primis. Il maltrattante, seguendo un programma di aiuto, potrà essere in grado di osservarsi in modo critico ed assumersi la responsabilità delle violenze che ha agito. L’obiettivo primario del lavoro con gli uomini autori di violenza è l’assicurare l’incolumità delle donne e dei loro figli.

Solitamente il primo tipo di violenza che scompare dopo aver iniziato il percorso è quella fisica mentre permane la violenza psicologica nei confronti della donna. Con il maltrattante è importante incoraggiare le azioni buone, anticipare le possibili ricadute e prevenire il drop-out (l’uscita dal percorso) così da rinforzare l’adesione al percorso: il drop-out è pericoloso anche per la donna e gli eventuali figli del maltrattante.

Il lavoro con gli autori di violenza può aumentare la sicurezza delle partner (ex partner) e dei minori consentendo risposte più rapide e più informate alle situazioni di rischio. Non esistono interventi privi di rischi ma si cerca di minimizzare il rischio di recidiva. I programmi per autori lavorano in collaborazione con i servizi di supporto per le donne e con gli altri servizi territoriali oltre che con la Magistratura, devono rispettare la Convenzione di Istanbul e forniscono informazioni sugli effetti della violenza aiutando a sviluppare nel maltrattante empatia ed assunzione di responsabilità.

Durante i vari lockdown si è visto un abbassarsi del tasso di femminicidio ma aumentare la violenza, perché?

La violenza di genere non si è fermata con la quarantena per la pandemia, tante sono le problematiche sommerse, le vittime avendo in molti casi il maltrattante in casa, non provano nemmeno a contattare le Associazioni che si occupano di aiutarle.

La casa dovrebbe essere un posto sicuro per non contrarre il Covid19 ma non evita di patire maltrattamenti, per le donne che subiscono violenza ed i bambini sottoposti a quella assistita, le mura che li circondano diventano l’inferno: il non potersi muovere liberamente ha frenato il consumo di alcool e stupefacenti, la prostituzione, il gioco d’azzardo e le dipendenze che alcuni maltrattanti avevano prima della pandemia facendo ricadere la frustrazione e l’astinenza sulle compagne ed eventuali figli richiusi in qualche metro quadrato.

Il consiglio che va caldamente dato alle donne vittime è di chiudersi in una stanza e chiamare il numero del centro/sportello antiviolenza di zona altrimenti il numero nazionale 1522 (disponibile anche tramite chat), oppure il 112 o infine utilizzando le applicazioni “112 Where ARE U” o “YouPol”.

Ringraziamo la Dott.ssa Martelli per averci fornito un punto di vista più tecnico dell'argomento. Un tema delicatissimo e spesso proprio per questo trattato come un tabù, pericoloso e sconveniente da affrontare. Invece come Circolo PD di Monte San Vito non solo crediamo che serva parlarne ma servono anche una serie di azioni/progetti mirati a creare, anche fosse solo nelle coscienze delle persone, quell'identità civile che superi i generi e guardi ad una società nuova, plurale, paritaria e solidale. In questo senso stiamo formando un "Gruppo di Azione" tutto al femminile che tratterà, per il Circolo, diverse tematiche sociali oltre che politiche.

Un abbraccio di genere,

La Redazione

venerdì 20 novembre 2020

L'opinione: Sassoli, riformista o sovranista?

E poi succede quello che non ti aspetti, David Sassoli, attuale Presidente del Parlamento Europeo, chiede, o auspica, che "l'Europa cancelli i debiti contratti dai governi durante il periodo della pandemia", ed aggiunge, "non è accettabile che essi ricadano sui cittadini e sulle generazioni future, si abbia la capacità di scelte forti e coraggiose". Quello che non ti aspetti non tanto per la dichiarazione in se, ma per lo spessore stesso del dichiarante, per la sua cultura concertativa e politica, per la sua storia e non ultimo per il ruolo che ricopre. Di sicuro le sue parole, se lette con il giusto spirito critico e ripulite dalle immondizie populiste di questi anni sul tema, aprono negli organismi europei ad una riflessione molto forte, anche se, al momento, questa riflessione sembra molto ben celata, e lo fa soprattutto dal suo interno, non da nazionalista e lontanissimo da ogni possibile lettura sovranista. 

Una simile dichiarazione non può lasciarci indifferenti proprio perché, se non ben perimetrata (e nella dichiarazione il chiaro richiamo al debito del solo periodo di pandemia è centrale) rischierebbe di lasciare ampi spazi di galoppo ai tanti cani sciolti in giro per l'Europa (per l'appunto sovranisti e populisti). Ci piace comunque pensare che questa svolta di pensiero arrivi proprio da un uomo del Partito Democratico, Riformista nell'accezione più nobile del termine, con una visione paternalistica sul futuro prossimo che va oltre l'art.123 del funzionamento dell'Unione Europea stessa, laddove si dice che la BCE non può finanziare gli Stati membri, che va oltre un ragionamento più ampio sugli interessi, esclusivamente politici, delle diverse nazioni europee che per loro interessi interni osteggerebbero tale scelta, che va oltre anche al legittimo pensiero che, tale scelta, potrebbe minare la fiducia dei mercati verso la stessa Banca Centrale Europea. E' difatti un pensiero che "va oltre", di ampio respiro, di visione, probabilmente teso a smuovere e frugare nelle coscienze più statiche, ed egoistiche, dei diversi Governanti europei, europeisti o presunti tali.

Vogliamo credere e sperare che quel vento caldo ed avvolgente creato dal Recovery Fund, purtroppo anch'esso ancora ostaggio di alcuni veti, i soliti, sappia ancora soffiare e gonfiare non solo i membri delle Governance, ma le vele di quei Paesi che, da quel vento, potrebbero recuperare il gap economico-sociale epocale, a cui loro stessi, con le loro politiche esclusivamente assistenzialiste, si continuano a condannare, a partire dall'Italia. Una seconda possibilità, forse l'ultima, per spingere la così "rinnovata" Unione Europea verso quel futuro da soggetto centrale dell'economia mondiale per cui era nata e per cui ha ancora un senso crederci. Una seconda possibilità anche per rilanciare lo sguardo all'orizzonte dove, offuscato dalle nebbie di incompetenti statisti, c'è ancora il MES, con la sua linea di credito da dedicare alla Sanità, e per questo privo di ogni condizionalità e con tassi largamente inferiori a qualsiasi richiesta di credito attualmente in essere sul mercato. 

Due grandi opportunità per le quali c'è un però, il solito però italiano, o meglio di quell'italietta che vogliamo e dobbiamo superare, essi hanno bisogno di progettualità, ed è proprio li, in quegli spazi di tentennamenti, lunghe riflessioni e colpevoli ritardi che si inseriscono i venditori di fumo. Stavolta dobbiamo essere più bravi di loro, ci sono tutte le condizioni per un rilancio vero, autentico, affidiamoci alle competenze vere. Non perdiamoci in chiacchiere, la sfida stavolta non può essere recuperare le condizioni pre-Covid, non stavamo bene neanche allora, facciamo uno sforzo di memoria, andiamo oltre, basta immaginare un Paese migliore, è ora di costruirlo.

Un abbraccio europeista,

La Redazione



mercoledì 28 ottobre 2020

Meglio il consenso, o la verità?

In storia non vi è alcun dubbio, alla fine, la verità vince sempre. Purtroppo però la "storia" è una sciccheria per i posteri e che, chi deve lavorare sul presente per scriverne le trame, anche se abbagliato dalle luci del consenso, non può, e non deve, permettersi. In questo scenario si muove oggi la nostra "amata" politica imbavagliata dalla sua stessa dialettica, spesso di bandiera e vittima, consenziente, dei duri colpi che la "realtà" sanitaria ed economica gli (o meglio "ci") sta sferrando.  
Lo scenario a cui assistiamo quotidianamente è di una politica destinata a lucrare per pochi spiccioli di vantaggi personali, consapevole che, scherzando col fuoco, prima o poi una fiammata, di quelle forti e dolorose, ci investirà, e saranno dolori per tutti. Possibile che nemmeno un nemico dichiarato come il Covid riesce a farci desistere dalla nostra perenne esigenza di "consenso"? Possibile che non riusciamo a percepire il forte odore di bruciato nemmeno quando a bruciare sono le nostre stesse case? Apriamo gli occhi, e lo faccia la politica tutta, questa emergenza sanitaria, se non affrontata con pragmatismo e visione,  finirà per mandare tutti a casa, un reset politico da cui non si salva nessuno, nemmeno il più viscido tra profeti di sventura. 
Abbiamo avuto mesi per preparare il Paese alla seconda ondata, e ora che è arrivata, puntuale come solo le sventure e le brutte notizie sanno essere, ci accorgiamo di non aver fatto abbastanza, di non aver preparato il Paese all'impatto. Si perchè non basta dire che arriverà la pioggia se poi non si costruiscono ripari, o almeno tanto ombrelli (e non monopattini). E di contro un opposizione che di par suo gridava di aprire quando si chiudeva e di chiudere quando si apriva, nel più classico del bastian contrario, finendo per destabilizzare più l'opinione pubblica che la maggioranza stessa. 
Il nuovo DPCM (24 ottobre) è figlio naturale di tutto questo, si chiude la stalla dopo che i buoi sono usciti e senza aver costruito un bel recinto (ampio, sicuro e condiviso) all'interno del quale difenderli. Abbiamo perso mesi, dalla prima forte ondata del virus, a dibattere su come affrontare l'inverno, e ora? Proponiamo alla Scuola la Didattica A Distanza dopo che per mesi ne abbiamo decantato la centralità? Chiudiamo la Cultura accomunandola come pericolosità al più classico aperitivo tra amici e dimenticandoci di esserne il Paese principe per antonomasia? Chiudiamo le attività sportive dopo aver guidato le stesse ad autoregolarsi, e autofinanziarsi, con stringenti protocolli di sicurezza, cosi come hanno fatto anche attività commerciali come Ristoranti e Bar.
Credo che tutto questo faccia male al Paese e faccia ancora più male a noi del PD, noi che, storicamente, dovremmo essere i primi a caricarci sulle spalle il peso delle scelte. Sarebbe ora di imprimere alla "storia" quel cambiamento in cui abbiamo (forse) sempre creduto, accantonando le facili e sterili proposte di assistenzialismo, utile solo per un giro di ruota, e virare la prua verso lidi meno turistici ma più connessi alla realtà, rimettendo al centro del dibattito il vero problema, il Virus, e colpendolo nelle sue debolezze, ovvero rilanciando la Sanità Pubblica e rafforzando i Trasporti con i soldi del MES, pronti da subito, fermi in un limbo di ipocrisie e demagogie a gridare vendetta.
Dopo le elezioni Regionali il nostro segretario, Zingaretti, forse rinvigorito dal pericolo scampato, almeno per le Regioni che il PD è riuscito a difendere, ha iniziato ad invocare un cambio di marcia netto al Governo ma, almeno in apparenza, sembra non crederci nemmeno lui. 
La verità è una pratica faticosa, non sempre (quasi mai) conduce al consenso, ma di sicuro produce stima, questo deve valere per i Governi centrali cosi come per le Regioni, le Province e i Comuni, nessuno deve sentirsi esente da colpe e forse, un giorno, la storia ci ricorderà come quelli che, attraverso la "verità" hanno poi raggiunto il "consenso".

Un abbraccio vero,
La Redazione