lunedì 1 agosto 2022

Oltre le "Barricate" - Parma 1922 - Italia 2022

BARRICATE DEL 1922

Nell’estate del 1922, in seguito all’inasprirsi delle violenze fasciste contro le organizzazioni e le sedi del movimento operaio e democratico, l’Alleanza del Lavoro proclamò per il 1° agosto 1922 uno sciopero generale nazionale in “difesa delle libertà politiche e sindacali”. Contro la mobilitazione dei lavoratori si scatenò la violenza delle squadre fasciste lungo tutta la penisola.

L’Alleanza del Lavoro sospese lo sciopero il 3 agosto, ma le aggressioni aumentarono e solo in poche città fu organizzata la resistenza alle azioni delle camicie nere. Le spedizioni punitive ebbero così un totale successo con la distruzioni di circoli, cooperative, sindacati, giornali ed amministrazioni popolari.

A Parma, sola eccezione, gli sviluppi dello sciopero furono ben diversi: la città divenne teatro di una resistenza armata alle squadre fasciste che, dopo cinque giorni di combattimenti, risultò vittoriosa. I lavoratori avevano risposto compatti allo sciopero e, forti delle tradizioni locali del sindacalismo rivoluzionario, mostrarono ancora una volta grande capacità di mobilitazione e di combattività.

Con la locuzione fatti di Parma s’intende l’assedio operato dagli squadristi, comandati prima da un quadrumvirato locale e successivamente da Italo Balbo, alla città di Parma in cui si trovavano asserragliati gli Arditi del popolo e le formazioni di difesa proletaria, all’inizio dell’agosto 1922.

Nei primi giorni di agosto vennero perciò mobilitati dal PNF (Partito Nazionale Fascista) circa 10.000 uomini per l’occupazione di Parma, giunti dai paesi del parmense e dalle province limitrofe. La popolazione dell’Oltretorrente e dei rioni Naviglio e Saffi si prepara all’aggressione, innalzando barricate e scavando trincee, volendo difendere ad oltranza le sedi delle organizzazioni proletarie e di quelle centriste conoscendo le devastazioni che i fascisti avevano compiuto in altre località, come nel ravennate, guidati proprio da Italo Balbo. Mentre a livello nazionale lo sciopero si esaurisce in un fallimento completo, a Parma l’idea di resistere si radica sempre di più. Nei quartieri popolari i poteri istituzionali passano al direttorio degli Arditi del Popolo comandati da Guido Picelli. Il 6 agosto, su consiglio anche dell’ufficiale militare al comando della locale Scuola di Applicazione militare, Lodomez, ma soprattutto resisi conto dell’impossibilità di conquistare la città senza scatenare una vera e propria guerra, che avrebbe provocato una carneficina, i fascisti passarono il controllo dell’ordine pubblico all’esercito, impegnandosi a ritirarsi. Fonte: https://www.testeparlantimemorie900.it/

Sembrano davvero lontani i tempi in cui, mossi dalla forte necessità di resistere, i cittadini, i sindacati, e la politica si univano per respingere il nemico "oppressore" fascista.

Il tempo sembra aver cambiato le vicissitudini, negli ultimi anni, soprattutto a sinistra, i partiti hanno preferito dividersi, per rincorrere contenuti distanti, a volte, solo per qualche sfumatura cromatica, piuttosto che unirsi e rilanciare il Paese, insieme e da sinistra, con riforme necessarie. 

In quel 1922 a Parma gli scontri coinvolsero attivamente tutta la popolazione e venne superata ogni polemica politica tra le diverse tendenze: arditi del popolo, sindacalisti corridoniani, confederali, anarchici (Antonio Cieri comandò la resistenza del rione Naviglio), comunisti, popolari, repubblicani e socialisti combatterono, fianco a fianco, le squadre delle camicie nere.

Una lezione di UNITA' che non può essere dispersa ne dal tempo ne da facili populismi, una lezione di RESISTENZA che è utile oggi più che mai, alla vigilia di una tornata elettorale tra le più complicate ed importanti degli ultimi tempi. Una lezione di modernità da ricordare a chi si candita a Rappresentare i valori della Sinistra Riformista. 

Nelle settimane che ci dividono da questa importante tornata elettorale saranno fondamentali le nostre capacità di gurardare oltre quelle "Barricate" e di aprire le nostre sedi, e le nostre liste, a quella società civile che, da molto tempo invano, reclama un centro sinistra capace di rinnovarsi, costruendo un nuovo fronte democratico e liberale che sappia andare oltre le "Barricate", oltre la "Resistenza" per combattere nuovi "sovranismi" e facili "populismi".

Consiglio di lettura: "Oltretorrente" di Pino Cacucci.

Un abbraccio democratico,

Circolo PD Monte San Vito






martedì 8 marzo 2022

Le Donne verso un “Concetto di Parità”

Le Donne verso un “Concetto di Parità”

La parità di diritti tra i sessi, che in molti paesi del Mondo tendiamo a dare per scontato oggi, è in realtà l'esito di lunghe e faticose battaglie da parte di movimenti di emancipazione femminile, grazie ai quali ricordiamo l'8 Marzo come la Giornata Internazionale della Donna.

Gli albori del movimento femminista lo troviamo in Mary Wollstonecraft, scrittrice britannica che nel suo testo "Rivendicazione dei diritti della donna", sostiene con fermezza che le donne non sono inferiori agli uomini, ma piuttosto che la loro condizione di subordinazione deriva da una diversa educazione. 

In questi stessi anni in Gran Bretagna iniziano a formarsi i primi circoli femminili che diventeranno dei veri e propri movimenti organizzati, come il "Movimento delle suffragette" che ottiene il diritto di voto nel 1918. Seguirono le donne statunitensi che poterono votare nel 1920 mentre le donne italiane dovranno aspettare la fine della Seconda Guerra mondiale e solo nel 1946 andranno al voto.

Non bisogna dimenticare che i movimenti femministi contribuiscono alla creazione dei primi veri CENTRI ANTIVIOLENZA, per assistere le vittime di violenza domestica, ma non solo.

Tra pandemia, guerre alle porte e la situazione politica italiana ci siamo persi ancora… problemi di licenziamenti per aziende che sembravano solide, il covid che ancora ci portiamo dietro… la situazione femminile non sembra accennare a miglioramenti: continuano i femminicidi, le donne costrette a restare a casa quando hanno i figli in didattica a distanza e/o in quarantena.

Il nostro pensiero al momento va soprattutto alle migliaia di donne ucraine che si sono trovate a dover sostenere il peso di salvarsi (al tredicesimo giorno di una guerra assurda), scappare negli Stati limitrofi per cercare di sopravvivere mentre i loro figli adolescenti, fratelli, padri e compagni sono stati richiamati a combattere per la patria; donne costrette a rifugiarsi nei bunker quando suonano le sirene, non poter andare a lavorare, avere difficoltà a reperire sostentamenti per loro ed i loro figli e le persone anziane a loro carico, alle donne che partoriscono nelle metropolitane e nei rifugi di fortuna, nei campi profughi, alle donne che hanno visto distruggersi la casa dopo tanti sacrifici fatti e quelle madri che hanno visto morire i propri figli a causa di bombardamenti inutili.

Non dimentichiamoci delle donne russe che stanno anch’esse subendo il peso di decisioni politiche inammissibili: non scappano da sparatorie ma sono sempre più isolate dal resto del mondo grazie alle sanzioni inflitte dall’Occidente. Le madri dei soldati russi che non sapevano dove stesserei andando ne cosa li avrebbe aspettati… 

Il pensiero va anche a tutte le ragazze che hanno trovato il coraggio di scendere nelle piazze russe e protestare per le decisioni del loro capo politico ed ora si trovano nelle carceri.

Cosa stiamo facendo noi donne nel 2022? 

Le future generazioni che ci governeranno sono allo sbando, ci sono ragazze che seguono l’esempio di Greta Thunberg e lottano per le cause ambientaliste e non solo mentre altre vivono solo per apparire, seguire le influencer e crescere nella futilità.

La direzione di Psych and Crime

Dott.ssa Paola Loreto e Dott.ssa Giorgia Martelli

mercoledì 9 febbraio 2022

10 febbraio: Giorno del Ricordo

Il 10 febbraio, Il Giorno del Ricordo. 

Istituito dal Parlamento (con legge n.92 il 30 marzo 2004) per ricordare una pagina angosciosa che ha vissuto il nostro Paese. Il "giorno del ricordo" serve a mantenere accesa la memoria sulle atrocità di un epurazione su base etnica e nazionalistica volutamente e spietatamente pianificata. Le foibe, con il loro carico di morte, di crudeltà inaudite, di violenza ingiustificata e ingiustificabile, sono il simbolo tragico di un capitolo di storia, ancora poco conosciuto e talvolta addirittura incompreso, che racconta la grande sofferenza delle popolazioni istriane, fiumane, dalmate e giuliane“.

Accanto al Giorno della Memoria dedicato alle vittime dell'Olocausto, il Giorno del Ricordo si lega alle violenze e uccisioni avvenute in Istria, Fiume e Dalmazia tra il 1943 e il 1947.

La data non è casuale, infatto il 10 febbraio 1947 furono firmati i trattati di Pace a Parigi con il quale si assegnavano l’Istria, Quarnaro, Zara e parte del territorio del Friuli Venezia Giulia alla Jugoslavia. I territori in questione erano stati assegnati all’Italia con il Patto di Londra, mentre la Dalmazia venne annessa a seguito dell’invasione nazista in Jugoslavia.

Con il ritorno di questi territori alla Jugoslavia, ebbe inizio una rappresaglia feroce che colpì molti cittadini italiani innocenti, ritenuti implicitamente colpevoli di aver vissuto sotto il regime fascista. Fino a configurare quella che oggi gli storici descrivono come una vera e propria pulizia etnica: prigionia, campi di lavoro forzato e morte nelle foibe coinvolsero fra le 4.000 e le 5.000 persone, secondo una stima ancora approssimativa, comprese le salme recuperate e quelle stimate nonché, oltre a quanti furono infoibati, i molti che morirono nei campi di concentramento jugoslavi. Molti riuscirono a fuggire: un esodo di massa che coinvolse tra le 250 mila e 350 mila persone tra il 1945 e il 1956.

Le foibe sono insenature naturali formate da grandi caverne verticali presenti in Istria e Friuli Venezia Giulia.V eri e propri inghiottitoi naturali, molto diffusi nelle zone carsiche: la cavità si restringe scendendo in profondità per poi chiudersi e riallargarsi in un bacino, una forma che rende difficile la risalita e i soccorsi. Gli eccidi delle foibe commessi dai partigiani jugoslavi vedevano le vittime spesso gettate vive in queste cavità.

Il numero delle vittime italiane rimarrà imprecisato. I partigiani jugoslavi di Josip Broz Tito le presero perché italiane, nella Venezia Giulia, il Quarnaro e la Dalmazia, e le gettarono in profonde insenature, denominate Foibe. Le precipitarono vive, legate, i vivi con i morti, a morire per la caduta o più lentamente e atrocemente. Quel che si ritrovò non era contabilizzabile e ci si dovette accomodare alle stime: fra le 3 e le 5 mila persone, fino a 11 mila. La popolazione italiana fuggì da quei luoghi e da quelle città, che avevano nomi e storie italiane, lasciandosi alle spalle i morti e la propria vita. All’incirca 350 mila persone.

Molti italiani furono massacrati perché italiani e perché parlavano l’italiano, e prima furono degli italiani a massacrare chi, in quei luoghi, non era italiano e non parlava la nostra lingua. L’Italia fascista s’avventurò su quella strada per “spezzare le reni alla Grecia”, come tronfio annunciò colui che condusse l’Italia alla rovina materiale e morale: Benito Mussolini. Fu un disastro, cui l’esercito italiano non era preparato. Sarebbe dovuto servire per dimostrare a Hitler di cosa si era capaci, servì a chiarire di quanto si era incapaci. Così gli italiani furono soccorsi dall’alleato nazista.

Nello stazionare in quei luoghi gli italiani coprirono le azioni degli Ustascia, croati schierati al fianco dei nazifascisti. Di loro le SS naziste sottolineavano l’eccessiva ferocia e il sadismo. Considerata la fonte della critica sarà bene provare anche solo a immaginare cosa fecero. Quando la guerra ribaltò le forze e gli aggressori furono aggrediti fin dentro i loro paesi e fino alle loro capitali, Berlino e Roma, quel sangue ancora scorreva, chiamandone altro, copioso e di civili inermi, senza distinzione di sesso ed età.

Atrocità che non vanno ne negate ne tantomeno taciute, sarebbe questo un ulteriore crimine a oltraggio di quelle vittime. Un ricordo davvero tragico dove è sottile il confine tra la dolorosa memoria dell’orrore che si praticò e di quello che si subì. Su una cosa dobbiamo però essere chiari, perentori, lo dobbiamo fare almeno per le generazioni future, dichiarando tutti pubblicamente ed a voce alta che quel modo di ragionare produsse solo miseria, morte e disonore. La lezione deve essere il ripudio con ogni forza di quel modo di ragionare. Avere a lungo negato le Foibe o supporre di raccontarle fuori dalla loro storia, sono solo modi per riuscire a non capire e non imparare. È questo che ci siamo lasciati alle spalle costruendo quel che non si era mai visto prima: un’Europa senza guerre. Ma non basta averlo alle spalle, serve averlo sempre davanti agli occhi. Un ricordo acceso di quelle atrocità per evitare a noi stessi ed ai nostri figli di ripercorrere cosi miseri sentieri di egoismi e di povertà d'animo.

Il Circolo PD di Monte San Vito invita tutti a non chiudere gli occhi davanti a nessuna violenza, a nessuna sofferenza, perché la violenza non ha colore: è violenza e basta. 

Un abbraccio commosso,

la Redazione






mercoledì 26 gennaio 2022

Giornata internazionale della Memoria

 

GIORNO DELLA MEMORIA

Ricordare solo per un giorno i fatti legati a questa ricorrenza può essere del tutto ingeneroso, se non offensivo. Molto spesso altro non è che assolvere ad un obbligo in un modo distratto, quasi meccanicamente rituale e solo di maniera. Vedasi nella pratica quello che, ad esempio, accade anche rispetto al giorno dedicato alla violenza sulle donne: tanti propositi, tante parole spese, mentre nel concreto le morti continuano e l'oltraggio cresce. I fatti di Milano di fine anno sono paradigmatici in tal senso.

È urgente, quindi, uscire da questa mera routine e interiorizzare il senso vero di queste ricorrenze, agendo di conseguenza in modo fattivo e pienamente consapevole. La Giornata della Memoria vuole mantenere vivo il ricordo delle atrocità perpetrate dal nazifascimo verso le minoranze quali Ebrei, Rom, Sinti, individui con disabilità mentali o di altro orientamento sessuale e oppositori politici.

Tutto ciò fu possibile anche per mezzo di una campagna mediatica costruita ad hoc da Goebbels, ministro della propaganda della Germania nazionalsocialista di Hitler, con il concorso di diversi strati della società tedesca. Tale propaganda basata su falsità, su disvalori senza alcun fondamento umano, individuando nelle minoranze i fattori di debolezza e di disagio della nazione e prendendo di mira i più deboli, fece breccia in un popolo che usciva da una situazione gravosa conseguente alla sconfitta nella Grande guerra e che era provato da anni di sanzioni economiche e di indigenza. Il “caporale” Hitler con i suoi futuri gerarchi costruì il “mostro” che portò alla Seconda guerra mondiale, sacrificando sull’altare della potenza tedesca il concetto stesso di rispetto per l’umanità.

Nel 1938 anche il Mussolini in Italia emanò le leggi razziali, contribuendo attivamente in seguito alla persecuzione e alla deportazione delle minoranze, non solo per compiacere Hitler e inseguire il mito della superiorità ariana, ma anche perché l’idea di intolleranza verso i deboli e i germi del razzismo erano già insiti nell’abominevole ideologia del Fascismo stesso.

Almirante, uno dei principali difensori delle leggi razziali, nel 1962, molti anni dopo l’emanazione di quelle vergognose leggi e in piena Repubblica, sul “Corriere della sera” dichiarava :

 “Il razzismo - scriveva il futuro segretario del Msi - ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri.”

Questi è il padre politico e il riferimento della Meloni e del suo partito, FdI. A molti anni da quella dichiarazione, è, ahimè, lecito il sospetto che questo pensiero non sia stato davvero sconfessato e resta il dubbio che nelle pieghe della Destra italiana, tutt’altro che moderna, aleggino ancora pensieri e posizioni non distanti dalla retorica razzista e fascista, una retorica che, come ci dice la cronaca, spesso si concretizza in atti indegni di violenta intolleranza.

Ecco, nel ricordare il Giorno della Memoria è necessario chiedersi e verificare se oggi siano stati rimossi davvero i fondamenti ideologici che portarono al dramma delle dittature fasciste e alla tragedia del genocidio.

Solo grazie alla democrazia e ai cittadini che hanno memoria di quel tempo si può evitare di ricadere di nuovo in quell’abisso di male, ma ciò non significa che si debba abbassare la guardia o ci si possa permettere di non mantenere l’attenzione su ogni rigurgito nostalgico o su ogni atteggiamento che, con operazioni intellettualmente e consapevolmente disoneste, si vuole far passare per folkloristico, mentre contiene, più o meno latenti, i semi dell’odio e dell’intolleranza. I meccanismi della comunicazione che fanno crescere il consenso verso la destra non sono dissimili da quelli su cui si basava la propaganda nel passato: profughi e immigrati vengono additati come nemici degli Italiani, come parassiti che vivono alle nostre spalle, come responsabili del disagio economico e della povertà di molte famiglie; agitando lo spauracchio della perdita di identità nazionale, di attentato ai valori tradizionali si parla, addirittura, di sostituzione della razza e di una sorta di “meticciamento”.

Inoltre, in diverse realtà amministrate dalla destra “moderna” si emanano regolamenti per non riconoscere diritti a chi non è italiano, anche se regolare e paga le tasse che contribuiscono ai lauti stipendi degli amministratori stessi. Non entriamo poi, nel merito dello sfruttamento di persone disperate nei campi e nelle fabbriche del Nord.

Esponenti della destra italiana, anche inquadrati in formazioni come FdI e Lega, inneggiano alla possibilità di sparare sui barconi di profughi che solcano il Mediterraneo o addirittura plaudono alla morte di essere umani, colpevoli soltanto di essere “diversi” e di desiderare di vivere con dignità.

Se, veramente, vogliamo onorare il Giorno della Memoria, allora abbiamo il dovere di farci parte attiva, non solo nell’agire quotidiano e nell’esercitare la solidarietà verso i più deboli, ma anche esercitando consapevolmente il proprio diritto di cittadini in cabina elettorale, difendendo e coltivando la democrazia, al fine di evitare, un giorno, di rimpiangere di essere stati indifferenti. 

In commossa Memoria,

La Redazione

 

mercoledì 22 dicembre 2021

Contributi per la migliore politica Don Luigi Sturzo continua a parlarci…

Prima parte dell’intervista al prof. Ernesto Preziosi

Dopo l’intervista a Giorgio Benigni su Antonio Gramsci, presentiamo l’intervista su don Luigi Sturzo rivolta al prof. Ernesto Preziosi.  Nella precedente Legislatura, Preziosi è stato deputato, eletto per il PD, membro della Commissione Bilancio. Dirige il Centro di Ricerca e Studi Storici e sociali ed ha promosso Argomenti2000, associazione di amicizia politica. Tra i suoi recenti saggi: Un altro Risorgimento. Alle origini dell’Azione Cattolica per una biografia di Giovanni Acquaderni, San Paolo edizioni e la curatela di Ci vorrebbe un pensiero, Edizioni Vita e Pensiero, sui 100 anni dell’Università Cattolica. Nel 2015 è venuto al centro Carlo Urbani di Monte San Vito per presentare il suo libro Una sola è la città (Ave).  

Gentile Prof. Preziosi, grazie per il tempo dedicatoci.

Vorrei iniziare con questa domanda: sono 150 anni dalla nascita di don Sturzo. Tra le sue molte opere ed innovazioni, per cosa ricordiamo don Sturzo?

Oltre ai 150 anni dalla nascita, vorrei ricordare che due anni fa è ricorso il centenario dell’Appello ai liberi e forti del 1919, quando don Sturzo ed altri uomini hanno fondato il Partito popolare italiano. L’ importanza del richiamo ai liberi e forti va considerato sia come spinta morale che in termini di metodo. I credenti operano nei diversi contesti storici, offrendo risposte, dando vita a strumenti, che ritengono idonei a raggiungere il fine che è legato al senso stesso dell’impegno politico del cristiano: operare non già per sé o per gli interessi della Chiesa, bensì per il bene comune.

Don Sturzo nasce come un fungo? Oppure il contesto ecclesiale del tempo lo ha aiutato?

Il contesto ecclesiale è fondamentale, penso alla enciclica Rerum Novarum del 1891, prima enciclica che affronta i temi del lavoro, del capitalismo, dei diritti e doveri del lavoratore. Il papa fu Leone XIII, papa Pecci. Papa Pecci inaugura la dottrina sociale della Chiesa, dove tematiche come il lavoro, la società, lo Stato, la centralità della persona umana vengono riaffermate nel contesto della modernità figlia dei Lumi e del Romanticismo. 

Don Sturzo è passato alla storia del Novecento come fondatore del PPI, una partito di programma, non confessionale, nel gennaio del 1919. Dal punto di vista della cultura politica e dei rapporti con il movimento cattolico, cosa accade con la fondazione del PPI nel 1919?

Fondando il PPI, Sturzo mette di fatto fuori gioco i blocchi clerico-moderati e  le relative intese, iniziate già nel 1904, proseguite nelle elezioni di cinque anni dopo e nel 1913 con il Patto Gentiloni. Sturzo, sempre contrario a queste intese, con la sua iniziativa tenta di raccogliere intorno alla proposta programmatica anche quelle che sono le differenti anime del cattolicesimo italiano. 

Don Sturzo non fu solo, quando lanciò l’Appello ai liberi e forti. Quali personalità erano con lui?

Erano diverse e variegate. C’era il conte Santucci, persona ben introdotta in Vaticano e che esprime un orientamento conservatore. Accanto troviamo il murriano pratese Giovanni Bertini (eletto in Parlamento nel 1913 nel collegio di una cittadina a voi vicina, Senigallia), già aderente alla lega democratico-cristiana. Gli agrari della Sicilia sono rappresentati da Antonino Pecoraro, mentre da Rovigo viene l’avvocato Umberto Merlin organizzatore di leghe contadine e operaie. Presente anche Antonio Boggiano-Pico, espressione dell’industria siderurgica e metallurgica genovese.


Può aiutarci meglio a capire i rapporti con il movimento cattolico, con le parrocchie, ed in particolare con l’Azione Cattolica?

Stefano Cavazzoni esponente cattolico milanese, valutava come opportuno il legame del PPI con l’Azione Cattolica. Don Sturzo suonava tasti diversi, cioè quelli della opportuna distinzione. La coscienza politica di un partito nazionale- collegato da un capo all’altro d’Italia - opera non attraverso gli organismi di Azione Cattolica, ma nella coesione spirituale, nella fiducia operativa delle persone. La distinzione, più che il legame. Pur rimanendo fondamentale la formazione delle coscienze, che era ed è un compito specifico dell’Azione Cattolica.

Che idea aveva don Sturzo dei partiti politici?

Per lui, il compito specifico dei partiti politici in democrazia è quello di organizzare il corpo elettorale, prepararlo ed educarlo alla vita pubblica; di essere  intermediario tra gli organismi sociali, il potere delle amministrazione ed i cittadini; di aiutare i cittadini nella difesa dei propri diritti, indurli allo scrupoloso adempimento dei doveri pubblici, correggerne l’istinto demagogico e indirizzare al servizio del pubblico la impulsiva passionalità delle masse.

Nel prossimo post, proveremo ad attualizzare il pensiero di don Luigi Sturzo, sempre in compagnia di Ernesto Preziosi…

Per approfondire:

G. Bianchi, Dopo  Moro: Sturzo, Morcelliana, 2000

L. Ceci, Don Luigi Sturzo, il profeta coraggioso dei temi moderni, SEI, 1996

G. De Rosa, Il primo anno di vita del Partito Popolare Italiano, dalle origini al congresso di Napoli, La nuova cultura, Napoli, 1969.

A. Dessardo, Educazione e Scuola, Studium, 2021

E. Preziosi, Cattolici e presenza politica, Scholé- Morcelliana, 2020

Giandiego Carastro